L’azzardo e la corruzione della Repubblica
Mi sono spesso posta una domanda che ritorna senza risposta: perché i più grandi crimini contro l’essere umano sono stati compiuti in nome di parole rubate e violentate imponendo loro un significato che non appartiene? “Arbeit mach frei”, il lavoro rende liberi, parole rubate allo scritto di un romanzo e forgiate con caratteri di ferro “lavorato” a fuoco dal fabbro, Jan Liwacz, che cercò di resistere all’inusitata violenza saldando rovesciata la lettera b, e, nel capovolgere almeno una lettera, tentando di interrompere l’ordine di morte racchiuso in tre parole. Insegnandoci così che la violenza ha bisogno di parole per affermarsi e che la prima e più inaudita violenza è quella che, usando in modo falso la parola, “spiazza” ogni nostra possibilità di risposta, obbligando alla morte le parole che ci sgorgano dentro, riducendo al silenzio. Ma i tentativi di sradicare questi atti di appropriazione indebita insegnano anche che l’inizio di ogni resistenza civile nasce dalla parola e dal coraggio di affermarla.
Segni di resistenza civile
Oggi si fanno testimoni di questo le numerose iniziative di mobilitazione sociale che mirano a ridare voce alle persone riaprendo spazi di mercato e di parola e tentando, insieme, di vincere uno tra i più pericolosi sentimenti umani quello che, davanti alla violenza o all’ingiustizia, ci porta a dire “non si può” (come ricordava Antonio Genovesi tra i fondatori della tradizione italiana dell’economia civile), ad abbracciare il sentimento di accettazione della sconfitta personale e civile, rassegnandosi al silenzio.
Una violenza oggi si sta consumando sotto i nostri occhi, agli angoli delle strade delle nostre città, forse nelle case dei nostri vicini o amici o famigliari. In impressionante controtendenza, mentre le luci dei negozi che abitano la città si spengono ad una ad una, le uniche attività che ripopolano i centri urbani e le periferie sono sale per gioco d’azzardo, bar che adibiscono spazi a slot machine, tabaccai che smerciano gratta e vinci di tutte le tipologie. Anche in questo caso si genera disperazione in nome di una parola che sarebbe chiamata ad esprimere ben altra essenza: gioco. Chi ha bambini o chi può osservarli con tranquillità e attenzione mentre si dedicano con tutta l’energia a quella loro attività tipica, il giocare, sa bene che quell’esperienza nulla ha a che fare con quella parola indebitamente associata ad azzardo. Il gioco, dopo quella di nutrirci del latte e dello sguardo di nostra madre è la prima attività che ci dice chi siamo perché l’altro con cui giochiamo ci riconosce e ci chiama per nome, perché, l’altro con noi, creando una storia, uno scenario, un ruolo ci ricrea. Come l’economia buona. Quella che nasce dal riconoscimento della qualità del nostro lavoro e delle parole che lo accompagnano. Quella che ci permette di dire le parole che sorgendo dall’intimità del nostro saper fare ed essere aspirano ad offrirsi al riconoscimento dell’altro e alla sua risposta.
Lo Stato e la finzione del contratto sociale
Quando lo Stato con il peso della propria autorità rende più acuta la difficoltà che attraversa il lavoro non allentando la pressione fiscale sulle imprese che oggi si attesta al 65 per cento (rapporto Paying Taxes 2014) o quando decide di incentivare attività come l’azzardo che danno risposte false a bisogni veri, di relazioni e di beni, fa proprio un discorso che, nutrendosi di parole rubate all’umano, lo avvilisce, producendo violenza.
Le azioni di mobilitazione dei cittadini contro le diverse forme del gioco d’azzardo esprimono la volontà di resistere al diffondersi di parole e pratiche false e irrispettose dell’umano invocando il coraggio di sacrificare un troppo facile guadagno alle virtù dell’uomo. Come quello che già Genovesi denunciava nella Napoli del Settecento scrivendo nelle sue Lezioni di Economia Civile: «Ogni pregiudizio che tende a rilasciare la fatica o a disonorare la virtù, ad armare gli uomini contra gli uomini, è un veleno lento della repubblica. Quel mi pare più malagevole, lo sbarbicare i nocevoli pregiudizi, dove sieno diventati vettigali. Pochi avranno il coraggio dell’augusto monarca delle Spagne, che sacrificò 50 mila scudi annui alla virtù de’ popoli coll’abolire tra noi i giuochi di sorte».
Iniziative come slot-mob vogliono manifestare l’esistenza di una società lungimirante, solidale, coraggiosa che crede che ancora molto bene si possa fare e salvare premiando i cittadini che lottano per continuare a fare “buona economia”, anche se intorno pullulano le iniziative dei furbi che fanno profitti sulla disperazione e l’avvilimento delle persone.
Speriamo nell’ascolto e nella capacità di una riflessione onesta e disposta a capovolgere una prospettiva focalizzata sul profitto immediato. Anche perché non sembrano esserci molte altre vie di uscita se solo si voglia dare ragionevolmente attenzione a quanto accaduto e detto in altri momenti storici. Sismondi, economista ginevrino dell’Ottocento, così scriveva: «il contratto sociale non è che una finzione per l’uomo che muore di miseria». Forse è una finzione anche per i figli di chi si rovina dentro una sala dell’azzardo.