L’azzardo della bellezza
Compie cinquant’anni il Centro Ave, prima espressione artistica in équipe dei Focolari.
«La bellezza può diventare una via verso il Trascendente, verso il Mistero ultimo, verso Dio». È un passaggio del discorso che il 21 novembre 2009 Benedetto XVI ha rivolto a un gruppo di artisti convenuti nella Cappella Sistina. Chi ha partecipato a quell’evento racconta come, sotto le volte di Michelangelo, si sia confermata una necessità per gli artisti: quella di coniugare il lavoro a una continua ricerca verso ciò che non è tangibile. L’apertura al dubbio, e dunque alla possibilità di un nuovo incontro, richiama un rapporto tra armonia e verità che fa della bellezza un canale privilegiato di comunicazione tra gli artisti e i fruitori.
Ave Cerquetti non era presente a quell’incontro, come non lo erano Marika Tassi e Tecla Rantucci. Ma tutte e tre, dovunque fossero quel sabato di novembre di un anno e mezzo fa, devono aver sentito riecheggiare, nelle parole del pontefice, una consegna che tanti anni prima avevano ricevuto in un garage di Roma, durante uno di quei momenti che hanno il sapore della storia.
È il maggio 1961: «Andavamo in giro con Tecla per Roma a vedere tutti i locali possibili per cominciare a lavorare insieme – racconta Ave –. Alla fine lo abbiamo trovato: era un vecchio garage». Il locale è grande, 80 metri quadri da mettere in ordine per contenere quell’armonia che desiderano creare: le due artiste hanno conosciuto Chiara Lubich e il suo Ideale, che vogliono testimoniare insieme. Come non è dato sapere, ma sanno che Chiara le sostiene.
Nel garage c’è una nicchia: «Abbiamo pensato subito: qui ci deve stare qualcosa di bello». Prese le misure del piccolo vano, le tre inviano alla Lubich un foglio di carta da spolvero, un materiale adatto a ricevere un suo pensiero che, ne sono certe, sarà un fondamento di lavoro non solo per Ave, Tecla e Marika, ma anche per tutti gli artisti che, “con tecniche varie”, sentiranno negli anni la stessa spinta a vedere il talento creativo come dono, anche se con declinazioni, forme, ispirazioni e luoghi diversi.
«Sazia questa sete di bellezza che il mondo sente, manda grandi artisti, ma plasma con essi grandi anime che col loro splendore avviino gli uomini verso il più bello tra i figli degli uomini, Gesù!». Così scrive Chiara. Dopo nemmeno due ore il “manifesto” che segna la nascita del Centro Ave è posizionato nella piccola cavità dell’anonimo garage romano. È l’inizio di un’avventura che ha portato negli anni il Centro Ave a svilupparsi come un vero centro d’arte. Vi hanno lavorato decine di persone di diverse nazioni alla realizzazione di progetti e opere, anche per l’adeguamento, ristrutturazione o realizzazione di edifici, chiese e cappelle, sia in Italia che all’estero.
Le artiste che si sono succedute negli anni, ognuna con il proprio tipico apporto, hanno reso il Centro in grado di proporre produzioni in cui le varie forme possano esprimere alla pari la stessa mission: manifestare non solo la bontà e la verità di Dio, ma anche la sua bellezza.
Il Centro oggi ha i suoi studi d’arte nella cittadella internazionale di Loppiano, nei pressi di Firenze. «Era chiaro nel 1965 – racconta Ave – che la nascente cittadella avrebbe dovuto esprimere tutte le presenze vitali di una normale città, per cui non sarebbe potuto mancare il contributo dell’arte. Siamo state le prime a trasferirci».
In questo sviluppo sorprendente non sono certo mancati i momenti difficili, non solo per le sospensioni dei lavori da portare a termine, ma a volte anche per gli inevitabili errori che si commettono in un’attività comune che vuole testimoniare l’armonia dell’insieme pur salvaguardando il contributo dell’ispirazione personale: «Ci ha salvate il fatto di rimetterci con umiltà in ascolto e poi al lavoro; anche per noi vale il fatto che non si finisce mai di imparare».
Ad Ave fa eco Marilena Mosco, storica dell’arte e già direttrice del Museo degli argenti di Palazzo Pitti a Firenze, che conosce e segue il lavoro del Centro fin dal 1977: «Il segreto del Centro Ave? Nonostante la diversità di chi compone le équipe e i limiti comuni a tutti noi, esiste un collante che gli ha permesso di navigare sempre avanti: la fede nell’Ideale di Chiara Lubich, la certezza che niente è mai perso. Tutto si può riconquistare, anche il lavoro più sbagliato. È da questa esperienza che nascono quelle forme da cui traspare una purezza ed essenzialità di linguaggio che rendono sia i lavori di scultura sia quelli di architettura non solo coerenti al significato di una “parola”, ma moderni e belli. Adatti a essere compresi da tutti, come fermento positivo per la comunità».