L’avversario
Il vagare a vuoto di un uomo imperturbabile e sempre corretto, sullo sfondo di un paesaggio innevato francese ai confini con la Svizzera, ripresi con una fotografia estetizzante e gelida. Per mezzo di quadrature lente, quasi monotone, la regista Nicole Garcia ci introduce, poco alla volta, nella vita di Jean- Claude Romand, che per 18 anni sostenne di essere medico e, quando fu scoperto, uccise, il 9 gennaio del 1993, la moglie due figli e i genitori. Una storia agghiacciante, di quelle che capita di sentire annunciate nei tg. Quando usciva per andare al lavoro, vagava senza meta, aspettando l’ora di rientrare a casa. Per mezzo di prestiti, non faceva mancare niente alla famiglia. Una doppiezza ai limiti del concepibile, un segreto da tener nascosto a tutti i costi, se non si trova il coraggio di affrontare il proprio annientamento nella stima degli altri, sorte temibile più della morte. Il conflitto, sempre accantonato, esplose in maniera incontrollabile con il tentativo di chiudere gli occhi a chi poteva scoprire la verità. Garcia, che si ispira al romanzo omonimo di Emmanuel Carrière, non cerca di capire, ma di esporre fatti in maniera più distaccata possibile. Anzi destruttura il racconto per non coinvolgere emotivamente, ricorrendo a numerosi flash-back e anticipazioni finalizzati alla percezione della tragedia, come andava emergendo nell’uomo. Il film poggia fondamentalmente sulla recitazione di Daniel Auteuil, che interpreta in modo insuperabile l’impenetrabilità inquietante, ma con umanità, senza provocare disprezzo. Straordinaria anche Emmanuelle Devos, che sembra una maschera tragica, tra lo smarrimento nella relazione extraconiugale e la gioia artificiale per l’illusione immediata. Quasi un riflesso esterno della contraddizione interiore del protagonista, nascosta a tutti e, per quanto possibile, anche a se stesso. Il film, che non mostra direttamente le immagini della violenza, offre l’occasione di soffermarsi su queste esperienze terribili e di riscoprire l’importanza dell’equilibrio fra l’interiorità, che ha una sua sacralità inviolabile, e il rapporto con gli altri, anche con i propri famigliari. Ci ricorda anche che l’accettazione della verità è un’occasione preziosa per liberare, da quanto non è essenziale, sia l’intimo della persona sia l’insieme delle convenienze sociali di tutti i giorni. Regia di Nicole Garcia; con Daniel Auteuil e Emmanuelle Devos.