L’avventura di Jesus

Don Antonio Tarzia ha fondato il mensile nel 1977. Una rivista sulla fede, per tutti i figli di Abramo.
Jesus

 

Don Antonio Tarzia, 69 anni e sacerdote paolino da 40, ha fondato la rivista Jesus nel 1977. Dopo averla diretta per molti anni è poi diventato direttore generale del gruppo libri San Paolo. Dal 2008 è tornato alla direzione della rivista Jesus.

 

 

Lo stato di salute di “Jesus” nella crisi mondiale della carta stampata

«Jesus come tutte le riviste, sia religiose che non, attraversa un periodo di crisi. È chiaro che la crisi economica ha stretto di più i suoi denti sulla carta stampata e sui costi della cultura. Però, devo dire, che Jesus sta resistendo ed anzi, abbiamo di poco aumentato le vendite rispetto all’anno scorso. Stampiamo in media 35 mila copie, con gli speciali arriviamo fino a 42 mila. Buona parte dei nostri lettori sono abbonati così è arrivata, anche per noi, la stangata inattesa degli aumenti dei costi delle spese postali e non sappiamo ancora come fare per fronteggiare questa nuova emergenza. Ci sarebbe da aumentare il costo della rivista, ma comporterebbe la diminuzione del numero degli abbonamenti».

 

Quali tematiche volete evidenziare?

«Fin dalle sue origini, nel 1977, la mission è stata fare una rivista sulla fede, per tutti i figli di Abramo. Un monitoraggio della fede per le grandi religioni monoteistiche: cristianesimo, islam e ebraismo con delle puntate nelle altre culture religiose. Essendo il fine l’ecumenismo, noi lasciamo che si incontrino sulle nostre pagine personalità di religioni diverse. Anche come collaboratori fissi».

 

Programmi futuri?

«Faremo una serie di audio libri: un libro e un cd con le paroledel protagonista. A novembre, uscirà il primo dedicato a Chiara Lubich. Poi seguiranno altri personaggi che hanno fatto grande la Chiesa nel secolo scorso.

Seguirà un’altra serie sui santi e i protagonisti della spiritualità visti come uomini del progresso, dell’ecumenismo e dell’unità. Non solo della Chiesa cattolica».

 

Cinquant’anni dopo il Concilio, “Jesus” invita i suoi lettori a rileggere i documenti del Vaticano II. Quale il vostro intento?

«Il grande teologo francese Yves Congar scrisse: “I Concili non sviluppano la loro azione che con il tempo. Ci vorranno cinquant’anni per poter cominciare ad apprezzare bene il Vaticano II”.

Con questa convinzione Jesus ha aperto un dialogo per rileggere il Vaticano II: le 3 Dichiarazioni, i 9 Decreti e le 4 Costituzioni. L’intento è stato di raggiungere tutti: coloro che sanno cos’è stato il Concilio, ma non hanno avuto la possibilità di approfondirne lo studio, chi ha vissuto quella stagione e vorrebbe ripercorrerla, chi vuole pensare al futuro della Chiesa nella fedeltà alla tradizione, chi è di passaggio nelle nostre comunità e vorrebbe sapere qualcosa di più di questo evento. Tanta gente non sa più cosa è stato il Concilio Vaticano II. Per capirlo bisogna riviverlo. Abbiamo cercato di attualizzarlo attraverso i commenti di docenti esperti che sapessero interpretarlo e dando la pubblicazione integrale dei principali documenti dell’evento conciliare. Poi siamo andati a cercare i pochi superstiti che hanno vissuto il Concilio, come mons. Betazzi e altri che hanno ancora legami fecondi con quel tempo di grazia».

 

 

Segnali di speranza per la Chiesa in quest’anno travagliato?

«I segni di speranza sono evidenti in quella che è la tristezza della chiesa. La Chiesa non può disperarsi. È in un periodo di crisi, ma anche di purificazione. Più soffriremo adesso e meno soffriremo in futuro. Il dolore accettato è un dolore vivificante. Siamo certi che la passione passerà  perché con la Chiesa c’è Cristo che è risurrezione e vita. Scrivevo in uno degli ultimi editoriali che leggendo ogni mattina i giornali si ha la sensazione di vedere la barca di Pietro ridotta a un guscio di noce, come nelle miniature gotiche. Il mare gli cresce attorno e noi la vediamo sempre più piccola, dall’alto, come spettatori disorientati e addolorati. Quando il racconto diventa più drammatico, il turbamento cresce. Ci viene allora da pensare alla Tempesta sedata di Eugéne Delacroix conservata al Metropolitan Museum of Arts di New York o a quella di Giorgio De Chirico dei Musei Vaticani. In queste immagini terribili, dove le onde vogliono sommergere la barca, già ridotta a relitto, i pescatori sono uomini comuni, fragili e presi dal panico, e l’unico che ha l’aureola di luce è il passeggero che dorme. Il nostro divino passeggero si sveglierà, fermerà i venti e tornerà la bonaccia. La luce, quella tenera del mattino, è appena sotto l’orizzonte».

 

 

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons