Lavoro, terra e libertà nel segno di Rizzotto
Era un medico, il capomafia che nel 1948 decise la morte di Placido Rizzotto, difensore del diritto alla terra di contadini e braccianti, che nella Sicilia del dopoguerra attendevano ancora l’attuazione della riforma agraria. Ora come allora, il dominio mafioso non cede terreno sull’agricoltura, solo che si sposta dalla bassa manovalanza alle alleanze sofisticate.
Le relazioni annuali della Direzione nazionale antimafia (Dna) documentano la capacità dei gruppi criminali di saper governare interi settori produttivi mescolandosi all’economia legale e l’agromafia è decisamente un campo fertile per i traffici illeciti. Nel rapporto della Dna per il 2011 si legge infatti: «Le organizzazioni mafiose sono in grado di controllare una filiera che va dall’accaparramento dei terreni agricoli all’intermediazione all’ingrosso dei prodotti, dal trasporto allo stoccaggio fino all’acquisto e all’investimento in centri commerciali».
Una rete di connivenze La filiera illegale punta su una massa di lavoratori in nero, stimati sui 400 mila per difetto, prevalentemente immigrati irregolari che sono gestiti dai cosiddetti “caporali”, intermediari di manodopera senza scrupoli. Un giro per le campagne del Centro-sud, e non solo, porta a imbattersi in braccianti che non sanno parlare in italiano e neanche in inglese. Come avranno fatto ad arrivare sui quei campi? Secondo quali canali?
Le recenti inchieste “Bilico” e “Sud Pontino” hanno individuato «una presenza trasversale delle organizzazioni criminali nella commercializzazione all’ingrosso dei prodotti e nel borsino alimentare». Vuol dire che, nei principali mercati ortofrutticoli, sono presenti e alleati assieme Cosa nostra, la ‘Ndrangheta, la Stidda e i Casalesi. Una carta geografica che secondo gli inquirenti interessa, in particolare, i nodi di Gela, Vittoria, Catania, Palermo, Pagani, Giugliano, Fondi e Milano.
Un osservatorio sul lavoro nero nei campi La situazione è nota a chi opera con “il camper dei diritti”, il sindacato di strada dei lavoratori agricoli di quella organizzazione che opera nel nome di Rizzotto contro una gestione feudale delle terre. Proprio dalla Flai (Federazione Lavoratori AgroIndustria) Cgil è giunta, a pochi giorni dai funerali ufficiali postumi del militante siciliano, l’annuncio della costituzione di un Osservatorio nazionale, intitolato a Placido Rizzotto, dedicato ad «approfondire e contrastare le infiltrazioni mafiose nel settore agricolo e industriale». Una struttura operativa per «denunciare e affossare il fenomeno del caporalato» che si avvarrà del contributo di magistrati, esponenti delle forze dell'ordine e del Corpo forestale dello Stato, giornalisti d’inchiesta e docenti universitari.
Il monitoraggio sarà quotidiano ed è consultabile sul sito della Flai, dove si dà spazio anche alle iniziative legislative sul settore: ad esempio, dall’agosto 2011, una nuova formulazione dell’articolo 603 del Codice penale prevede sanzioni speciali per il reato di «caporalato», ma finora è basso il numero di denunce arrivate.
L’“agromafia” e il Cafè de Paris Al termine agromafia, oltre allo sfruttamento e messa in schiavitù dei lavoratori si associano usura, truffe, agropirateria e contraffazione, racket e macellazione clandestina. Un fatturato stimato in 15 miliardi di euro l’anno che raggiunge luoghi apparentemente lontani da certe tradizioni. Lo dimostra, ad esempio, la confisca a Siena di un’azienda agricola certificata con 800 ettari dedicati alla coltura di cereali e olio di qualità e un grande allevamento di suini di razza “cinta senese”. Si tratta di attività ben avviate, ma, una volta confiscate, rischiano di andare in malora coinvolgendo anche la perdita di posti di lavoro, regolari e irregolari.
Occorre perciò un grande progetto di recupero della legalità nel lavoro e di una sana imprenditorialità. Ne è la prova il luogo stesso dove è stata presentata, il 31 maggio 2012, la nascita dell’Osservatorio Placido Rizzotto: il Cafè de Paris, un locale simbolo della “dolce vita” romana, sottratto al controllo del clan Alvaro della 'ndragheta e recuperato salvando i posti di lavoro di baristi e camerieri. Accade a via Veneto, a due passi dalla direzione generale del ministero del Lavoro e dell’ambasciata Usa in Italia. Il modo migliore per testimoniare con i fatti, l’eredità feconda del sindacalista di Corleone.