Lavoro: la sfida della speranza
Libero, creativo, partecipativo e solidale: questi gli aggettivi che sintetizzano l’orizzonte del lavoro secondo papa Francesco. Il lavoro deve essere un’occasione per affermare la dignità della persona e la capacità di collaborare all’opera creativa di Dio e, anche se in alcuni momenti questo orizzonte può sembrare molto lontano, come «persone credenti non dobbiamo mai perdere la speranza e la capacità di leggere le opportunità del nuovo che avanza assieme alle sfide e agli ostacoli che ci pone». È quanto si legge nel messaggio della Cei per la festa del 1° maggio 2019 dal titolo “Il capitale umano al servizio del lavoro“.
«Viviamo in un sistema economico che ha dimostrato capacità eccezionali nel creare valore economico a livello globale, nel promuovere innovazione e progresso scientifico e nell’offrire ai consumatori una gamma sempre più vasta di beni di qualità», sottolinea il testo. Tuttavia, questo stesso sistema non riesce a promuovere un’equa distribuzione delle risorse, a favorire l’inclusione, a tutelare l’ambiente e difendere il lavoro. Solo vincendo le sfide dell’oggi si potrà creare una società veramente inclusiva, che promuova e tuteli la dignità del lavoro, dignità «che è essenziale per il senso e la fioritura della vita umana e la sua capacità di investire in relazioni e nel futuro».
La globalizzazione e la quarta rivoluzione industriale sono le due trasformazioni epocali con cui la società si deve confrontare. La globalizzazione fornisce alle imprese l’opportunità di delocalizzare da Paesi ad alto reddito, con alti costi del lavoro, per cercare le stesse competenze e qualifiche nei Paesi a basso reddito. In tal modo, se per gli Stati poveri ed emergenti si profilano nuove opportunità, si rischia tuttavia di «innescare una corsa competitiva verso il basso di cui a fare le spese è proprio la dignità del lavoro».
La nuova rivoluzione industriale sta trasformando radicalmente il modo di fare impresa, rendendo obsolete alcune mansioni. «La rete, le macchine intelligenti e le nuove opportunità d’interazione tra le stesse e con gli esseri umani aumenteranno sempre più la nostra capacità di fare e modificheranno la nostra capacità di agire», avvertono i vescovi italiani. In passato, le macchine hanno migliorato la qualità della vita sostituendo l’uomo nelle mansioni più faticose, nei lavori ‘meno umani’. Esse, tuttavia, non potranno mai competere con gli esseri umani dal punto di vista delle relazioni, della prossimità e della cura interpersonale. «Il progresso scientifico e tecnologico – si legge nel messaggio – è un dono e un frutto dell’operosità dell’ingegno umano che può diventare benedetto o avvelenato a seconda della maggiore o minore capacità di porlo al servizio della persona».
Insidie e speranze si nascondono, dunque, nel mondo del lavoro e, se da un lato si deve coltivare la speranza e promuovere ciò che nobilita l’essere umano, dall’altro occorre vigilare su quelle dinamiche che invece lo potrebbero umiliare. È importante costruire politiche che investano in due direzioni principali: la formazione, che consente di sviluppare competenze e favorire la riqualificazione del lavoro; l’«umanità» che, in futuro, sarà una delle chiavi di successo del mondo del lavoro, «perché l’arte della collaborazione (fatta di fiducia, cura interpersonale, reciprocità, prossimità), i servizi alla persona e le relazioni saranno sempre più qualificanti e decisive».
La cartina al tornasole di una società è il modo in cui essa considera gli ultimi: «Un compito irrinunciabile e sempre più delicato sarà quello di inclusione degli scartati e dei più deboli – spiegano i vescovi -. Sapendo che la soluzione non potrà essere quella di una mera erogazione monetaria poiché la dignità della persona passa attraverso la sua capacità di essere utile e di contribuire al progresso sociale e civile». A tal fine, è necessario un approccio generativo, che miri a favorire l’inclusione e la partecipazione di ogni persona alla vita sociale e aiuti a riscoprire quelle dinamiche di collaborazione che consentono la crescita umana e mettono in moto “nuove modalità di creazione di valore economico e sociale”.
La sfida della vita del Paese, ribadisce il documento, «può essere vinta solo superando la carestia di speranza, puntando su fiducia, accoglienza ed innovazione e non chiudendosi nella sterilità della paura e nel conflitto. Comprendendo che l’altro non è colui che mi contende una ricchezza data, ma è un dono (…). La storia del progresso umano insegna che il benessere economico e sociale non è un’acquisizione data ed acquisita su cui lottare per la spartizione. Il vero tesoro di una comunità (e quindi del nostro Paese) e garanzia per il suo futuro è la somma delle fatiche e delle competenze, dell’impegno a contribuire al progresso civile e della capacità di cooperare e fare squadra dei propri cittadini».