Lavoro, fermare le delocalizzazioni

L’attivismo dei lavoratori di Firenze e il futuro dell’industria in Italia  
Delocalizzazione GKN Foto Mauro Scrobogna /LaPresse

Senza alcun preavviso i 422 dipendenti della Gkn di Firenze hanno ricevuto a inizio luglio 2021 una email con cui la proprietà annunciava il loro licenziamento. A differenza di altre vicende che si consumano in silenzio, stavolta è scattata una reazione immediata che ha portato all’occupazione della fabbrica e ad una serie di manifestazioni pubbliche molto partecipate.

La fabbrica rappresenta un’eccellenza nel campo della produzione di componentistica per il settore automobilistico. Fino al 1994 faceva parte della Fiat, ma la multinazionale della famiglia Agnelli decise di cederla alla società britannica Gkn, finita poi sotto il controllo del fondo finanziario Melrose quotato a Londra e che afferma di agire secondo il motto “acquista, valorizza, vende”: il mantra di quelle società che acquistano un’azienda per poi fare gli interventi necessari (primi tra tutti i tagli del personale) e rivendere ad altri acquirenti a un prezzo maggiorato per la gioia di azionisti e investitori. Un caso emblematico è quello di Fiat Avio, passata di proprietà per 3 volte in 10 anni dalla Fiat al fondo Carlyle (Usa), a quello Cinven (GB) e poi General Electric (Usa).

A Campi Bisenzio, il Comune dell’area fiorentina dove si trova la GKN, esiste perfino un assessorato dedicato al distretto dell’economia civile, ma che poco può fare nei confronti del consiglio di amministrazione del Fondo Melrose, che evidentemente non condivide l’idea dell’impresa responsabile che ha la missione di produrre ricchezza, creare lavoro e occupazione e ridistribuire parte dei profitti alle comunità coinvolte nel ciclo produttivo. Nei piani alti della finanziaria non hanno deciso neanche di vendere la fabbrica, ma di chiuderla del tutto per spostare la produzione in un Paese dell’Est Europa. La medesima strategia adottata dal fondo Quantum Capital Partners, che dalla sua sede di Monaco di Baviera ha deciso di chiudere lo stabilimento della Gianetti ruote, attivo da 114 anni in Brianza, lasciando senza lavoro 152 dipendenti. Centinaia di casi simili sono sul tavolo del Ministero dello Sviluppo economico, come la vicenda della Whirlpool di Napoli, che la proprietà statunitense intende chiudere licenziando 340 lavoratori per spostare la produzione in Polonia.

Cosa può fare un governo oggi in Italia davanti a tali scenari drammatici? Nel 1953, quando il gruppo Snia decise di licenziare a Firenze 1.700 lavoratori dello stabilimento Pignone che produceva telai tessili, l’allora sindaco Giorgio La Pira andò con gli operai ad occupare la fabbrica che rappresentava il primo tassello di una crisi a catena destinata a travolgere altre imprese grandi e piccole. Il ministro degli Interni Amintore Fanfani, vicino idealmente a La Pira, fece ritirare il passaporto all’amministratore della Snia e sollecitò l’intervento dell’Eni, di proprietà pubblica, guidata da Enrico Mattei, per rilevare il controllo del Pignone convertendone la produzione in turbine e compressori di fattura eccellente a livello internazionale, tanto che fu poi acquistata dalla General Electric all’epoca delle privatizzazioni decise in Italia nel 1993. Come scriveva La Pira, che si attirò l’ostilità dei giornali degli industriali e anche le critiche di don Luigi Sturzo, «non posso assistere impotente alle ingiustizie che si commettono sotto l’apparenza della legge».

Oggi il sindaco di Campi Bisenzio, Emiliano Fossi, ha potuto solo ostacolare la circolazione di mezzi pesanti destinati a portar via i macchinari dalla fabbrica della Gkn. Ma quanto potrà durare un tale limite alla proprietà privata? Le ipotesi di legge antidelocalizzazione avanzate dal ministero del Lavoro italiano sull’esempio della normativa francese sono ritenute inefficaci dai lavoratori fiorentini che, invece, assieme ad alcuni giuristi, hanno elaborato una normativa articolata che prevede l’esistenza di un diritto di precedenza nella cessione dell’azienda da parte dello Stato e da cooperative di lavoratori impiegati presso l’azienda anche con il sostegno pubblico e delle istituzioni locali. Proposte che Confindustria ritiene inaccettabili perché contrarie alle libertà di impresa e tali da allontanare gli investitori stranieri. Eppure è proprio la specializzazione e competenza dei lavoratori della nostra manifattura a costituire motivo di attrazione dei capitali stranieri. Ad esempio, sembra andare in porto per il 2023, equilibri geopolitici permettendo, il progetto di una supercar elettrica che un accordo tra la cinese Faw e la statunitense Silk EV vuole realizzare nel distretto della Motor Valley di Reggio Emilia con l’assunzione di mille dipendenti. Allo stesso tempo è sintomatico che Exor, finanziaria olandese della famiglia Agnelli, nell’ottica degli investimenti di lungo temine, abbia deciso di investire in Cina nel gruppo Shang Xia mentre ha riscosso cospicui dividendi dalla nascita di Stellantis, grazie alla fusione con la francese Psa in posizione preminente: è suo l’amministratore delegato Carlos Tavares. Secondo il collettivo dei lavoratori di Campi Bisenzio «Gkn è l’anticipazione di quanto probabilmente sta già accadendo in tutto il gruppo Stellantis, con un ulteriore disimpegno dall’Italia e ristrutturazione di quello che un tempo fu la Fiat». Un segnale da prendere sul serio.

 

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Attenzione a Stellantis

Stellantis, multinazionale di diritto olandese nata nel 2021 dalla fusione tra Psa e Fiat Chrysler Automobiles, è destinata a incidere nel tessuto industriale italiano. La proprietà del gruppo ha tra i principali azionisti Exor, holding finanziaria olandese della famiglia italiana Agnelli (14,4% del capitale), la famiglia Peugeot (7,2%), lo Stato francese (6,2%) e Dongfeng Motor Corporation (5,6%), società controllata dallo Stato cinese. Secondo l’amministratore delegato Carlos Tavares, già Psa, con «la fusione da 25 miliardi di euro» esistono le condizioni per «aumentare ulteriormente il valore per gli azionisti sulla base di vantaggi competitivi senza pari». Interpellati da Città Nuova, il giuslavorista Pietro Ichino ha detto che ogni nazionalismo è fuori luogo e che la presenza dello Stato francese in Stellantis «non avrà un peso rilevante nelle scelte del nuovo gruppo», mentre secondo l’economista Vincenzo Comito «in realtà la Psa ha assorbito Fca. Nel capitale sociale è poi presente comunque lo Stato francese, in qualche modo a tutela degli interessi nazionali». I timori per l’occupazione nelle fabbriche italiane, comprese quelle dell’indotto legate a Stellantis come Gkn, possono essere fugati solo grazie agli investimenti che il gruppo automobilistico farà nel nostro Paese. Da parte sua Exor sta diversificando gli investimenti, possiede Ferrari e Juventus, ha preso il controllo del gruppo Gedi (Repubblica, Stampa, Secolo XIX e altre) e dell’autorevole Economist, mentre, ad esempio, Fca ha ceduto nel 2019 la strategica Magneti Marelli ai giapponesi della multinazionale CK Holdings, controllata dal fondo statunitense Kkr.

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