Lavoro e famiglia: una priorità per tutti

La famiglia è il fattore che maggiormente incide nel processo di formazione delle abilità cognitive e non-cognitive che determineranno il successo dei giovani nel mondo del lavoro. Crescere in una famiglia accogliente e incoraggiante vale quanto e più di una laurea. Allora come aiutare i nuclei familiari svantaggiati economicamente e socialmente? Un approfondimento
famiglia è bello

«L'iniziativa e la responsabilità, il senso di essere utile e persino indispensabile, sono bisogni vitali dell'anima». Scriveva così nel 1949 Simone Weil, una grande protettrice del lavoro, e poi continuava constatando come «una completa privazione di questo bisogno si ha nel disoccupato, anche quando è sovvenzionato, sì da consentirgli di mangiare, vestirsi e pagare l'affitto». Il lavoro negato dunque, nega un bisogno dell’anima. E a guardare i dati sulla disoccupazione oggi in Italia, specialmente quella giovanile, si può solo lontanamente avere un’idea di quanti bisogni fondamentali sono negati, e di quante anime crescono ferite, nei progetti, nelle speranze, nella dignità.

Quella del lavoro che non c’è, non può non essere una priorità per una nazione che voglia darsi un futuro. Ma questo futuro può arrivare solo con una seria progettazione e la disponibilità ad investire nel lungo periodo, il che, in tempi come questi, malati di “cortotermismo”, rappresenta una sfida di non poco conto. Uno sguardo lungo ci aiuterebbe a capire che il rapporto tra giovani e lavoro è frutto di un delicato equilibrio le cui fondamenta iniziano a porsi già nei primissimi anni di vita, quando, ancora bambini, iniziamo ad accumulare quelle capacità “non-cognitive” che ci consentiranno poi di attrezzarci adeguatamente anche per il mercato del lavoro.

L’aveva capito già il grande economista inglese Alfred Marshall, il quale nel 1890 notava come «Il capitale di maggior valore è quello investito nell'essere umano (…). e la parte più preziosa di quel capitale è la cura e l'influenza della madre e della famiglia». Questa intuizione di Marshall è stata nel frattempo confermata da una serie di ricerche guidate dal premio Nobel per l’economia James Heckman, che mostrano come la famiglia di nascita sia, in assoluto, il fattore di maggiore importanza del processo di formazione di quelle abilità cognitive e non-cognitive che determineranno il successo dei giovani nel mondo del lavoro.

Ma non solo: la qualità dell’ambiente familiare addirittura negli anni precedenti all’ingresso a scuola, rappresenta il più importante fattore causale per quanto riguarda il titolo di studio, l’occupazione, il salario atteso, ma anche la probabilità di comportamenti a rischio, gravidanze precoci e attività criminali. Alla base di questo risultato sta il fatto sta il fatto che l'accumulazione di capitale umano è un processo dinamico, che implica che le abilità acquisite in una data fase della vita, influenzino sia le condizioni iniziali, che il processo di apprendimento nella fase successiva. Queste abilità non sono solo le cose che impariamo (le abilità cognitive), ma anche ciò che siamo, il nostro “carattere” (le abilità non-cognitive). Queste ultime, che si formano (o non si formano) grazie all’influenza positiva (o negativa) della famiglia nei primissimi anni di vita, producono, sul futuro dei bambini un effetto che è quantitativamente simile a quello prodotto dalle abilità cognitive: crescere in una famiglia accogliente e incoraggiante, vale quanto e più di una laurea.

Da ciò deriva anche il fatto che proprio nella famiglia si origina, a causa delle differenze di condizioni e non solo economiche, gran parte della diseguaglianza sociale. Famiglie svantaggiate, economicamente, socialmente, culturalmente, infatti, metteranno un’ipoteca pesantissima sul futuro dei loro figli. Le altre, invece, potranno garantire la formazione di capacità che autosostenendosi, faciliteranno la salita ai loro figli.

Sottovalutare l’importanza che per i bambini e i futuri adulti ha la qualità dei primissimi anni di vita in famiglia non fa altro che riprodurre uno schema di polarizzazione sociale tanto ingiusto quanto evitabile. Tanto prima s’interviene nel sostenere le famiglie svantaggiate, nel loro ruolo di incubatore di “persone integrali”, tanto maggiori saranno le probabilità di raggiungere livelli adeguati di capitale umano; probabilità che con il passare del tempo diminuiscono sempre più velocemente.

La sfida vera per tutti, società civile organizzata, scuola, Chiesa, politica, sta quindi in un grande piano di intervento a sostegno delle famiglie, ed in particolare di quelle più vulnerabili, perché sempre di più queste possano diventare luoghi accoglienti e fecondi per i cittadini e i lavoratori di domani. Tutto il resto è davvero secondario.

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