Lavoro. Cosa è cambiato

A partire dal caso Fiat, una visione che parte da lontano per capire il tempo presente. Pubblichiamo la prima parte dell'ntervista ad Adriano Serafino, segretario Flm nella Torino degli anni Settanta
fiat melfi

Il nostro Paese, secondo i dati ancora ufficiosi dell’Istat, ha superato il milione di disoccupati provocati dalla crisi a cominciare dal 2008. Una spirale che per interrompersi ha bisogno di scelte urgenti. Quali? Nel pieno di una competizione planetaria senza tregua che vede aziende, territori e comunità lottare per accaparrarsi investimenti e mantenere i posti di lavoro, cerchiamo di ascoltare la voce dell’esperienza maturata sul campo. Adriano Serafino è stato, a Torino, segretario Flm e Fim-Cisl durante il percorso unitario vissuto dai metalmeccanici negli anni Settanta, quelli decisivi per il consolidamento del potere di contrattazione con la partecipazione dei lavoratori. Oggi è co-redattore del sito www.sindacalmente.org, che rappresenta uno spazio per l’informazione e il confronto tra persone provenienti da storie sindacali diverse, segnate, tuttavia, dall’impronta di quel modo di pensare che vede i lavoratori come soggetti attivi e pensanti dentro il variabile contesto economico e geopolitico.

Partiamo da alcune immagini. Ultimamente abbiamo visto spesso in televisione (da Melfi, Pomigliano e Grugliasco) la rappresentazione degli operai, poco riconoscibili nelle nuove tute bianche della Fiat, fare da ala plaudente al passaggio dei manager della multinazionale, accompagnati da rappresentanti istituzionali (governo e enti locali). Prima che chiudesse Termini Imerese, in un’edizione del Festival di San Remo, tre lavoratori, in un siparietto, hanno raccontato le loro paure suscitando compatimento e le risposte impotenti dei politici presenti. In altri tempi gli operai siciliani avrebbero cinto d’assedio il teatro.

Serafino, cosa è cambiato di così profondo in Italia?
«Che i lavoratori di Melfi e di Grugliasco applaudano Sergio Marchionne, il presidente Elkann, quando annunciano nuovi investimenti e danno assicurazioni per la tenuta dell’occupazione mi sembra cosa logica per chi trae reddito per sé e la propria famiglia da quelle realtà produttive. Sono lavoratori che non hanno al momento altra alternativa».

Perché applaudono?
«Le motivazioni sono differenti, cito quelle che mi sono più chiare per quanto ho conosciuto delle fabbriche in attività e in cassa integrazione guadagni (cig). C’è la fedeltà all’azienda, c’è il riconoscimento del ruolo del management che rimette in funzione l’azienda, c’è chi senza essere fedele è però leale verso il management e la proprietà, c’è la speranza di uscire dalla cig, c’è chi vuol tornare ad essere un lavoratore giornaliero per ritrovare la socialità e la dimensione collettiva, c’è chi vuole uscire da incubi e paure che si fanno più grandi quanto più lunghi sono i periodi di cig. Lavoratori con motivazioni molteplici e differenti, tutti però, dopo lunghi nove anni di cig, hanno la consapevolezza che per ricominciare a produrre serve la decisione del management e della proprietà. Se l’annuncio arriva, ancor più se in pompa magna, perché non applaudire? Per un lavoratore l’annuncio che la fabbrica riapre vale di per sé più della stima o meno verso, nel nostro caso, Sergio Marchionne. Vien detto che quegli annunci in fabbrica – Melfi ed ex-Bertone Grugliasco – così costruiti sono solo propaganda Fiat per ingannare il popolo; personalmente non la penso così, dico che è materia più complessa da analizzare e forse varrebbe la pena di riconsiderare i rapporti italiani e quelli americani di cui molto si parla, ma poco si conosce».

La sconfitta del sindacato metalmeccanico parte da lontano: Romiti raccontava nella famosa intervista a Pansa che, dopo la marcia dei cosiddetti 40 mila capi contrari all’occupazione della fabbrica, era rimasto colpito dal silenzio del sindacato «a tal punto che in seguito siamo stati costretti a cercarlo noi perché doveva essere il nostro interlocutore». Si tratta di archeologia industriale oppure quel momento storico permette di comprendere la realtà attuale più di tante analisi?
«È una vicenda di 30 anni fa, la gran parte dei lavoratori protagonisti di allora non è più in Fiat. Quella sconfitta sindacale a mio avviso è stata figlia di quanto il sindacato non ha saputo più fare dopo la crisi del 1975. E soprattutto dopo la rivolta del '77 nella quale il sindacato, ma non solo, perse il contatto con una generazione di giovani. Romiti ha detto e dice molte cose, alcune anche inedite, non solo per il 1980. Allora fu semplice e chiaro: perseguì con dura determinazione la restaurazione del potere aziendale; pur potendo fare altrimenti e con risultati che sarebbero stati assai più utili al futuro dell’azienda e dei rapporti con i sindacati e i lavoratori. Volle ripristinare un comando d’impresa che si era incrinato non solo per la sovraesposizione del ruolo del delegato in molte realtà di produzione, ma in gran parte per l’inadeguatezza di una gerarchia aziendale – capi squadra e capi reparto, quadri impiegati – a sapersi confrontare con rappresentanti sindacali di fabbrica più preparati di loro sulle tematiche dell’organizzazione del lavoro e della sicurezza».

E dopo?
«Romiti intuì prima di altri che il potere dei delegati e del sindacato unitario metalmeccanico, dopo il contratto del 1979, era in forte declino proprio all’interno della grande azienda. E vinse il braccio di ferro.

«Non è archeologia riandare al 1980 anche perché un’analisi approfondita con gli attori di quel periodo non è mai stata fatta compiutamente. Oggi servirebbe riprendere a leggere la documentazione e le ricerche fatte sul post 1980, su quel lungo periodo di cassa integrazione per 23 mila lavoratori, con la gran parte di loro poi rimasta fuori. Bisogna chiedersi: cosa è successo in quella comunità lacerata, cosa è successo nella personalità dei singoli, come si è trasformata la coscienza operaia, la fiducia nell’azione collettiva in loro e nei loro figli; che poi sono quelli che oggi perdono o non trovano lavoro?

«Nel 2012, per il quarto anno consecutivo, le ore di cig in Italia hanno superato il miliardo di ore all’anno e coinvolgono oltre 500 mila lavoratori. Lo stesso avverrà nel 2013. Periodi lunghi a zero ore, più a casa che in fabbrica. Come cambia la mentalità da lavoratore a cassaintegrato? Cosa fare per mantenere coesione sociale anche in periodi di cig? Servono tanti piani regionali di formazione professionalizzante e lavori socialmente utili! Si fa ben poco e quel poco non proprio bene».

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