Lavoro, armi e politica. Un caso di coscienza nazionale

Confindustria e sindacati in Sardegna contro la riconversione della fabbrica di bombe. L’Alta Corte di Londra rigetta il blocco delle vendite di armi all’Arabia Saudita. Dibattito in corso alla Camera in Italia
ANSA/ ROBERTO MURGIA

I rappresentanti in Sardegna di Confindustria, Cgil e Cisl hanno espresso una decisa contrarietà ad ogni ipotesi di riconversione della fabbrica Rwm Italia che produce bombe vendute all’aviazione saudita impegnata nel conflitto in corso nello Yemen.

Una presa di posizione traumatica, per molti, ma che permette di porre le condizioni per un dibattito pubblico nazionale. Anche perché la questione ha trovato spazio nell’aula della Camera dei deputati dove lunedì 17 luglio sono state presentate due mozioni sulla grave situazione della guerra yemenita. Due testi dettagliati e puntuali che riprendono l’invito esplicito lanciato con la conferenza stampa del 21 giugno promossa da diverse espressioni della società civile tra le quali la Rete della pace dove è presente la Cgil, mentre la Cisl esprime un ufficio internazionale dei metalmeccanici guidato da Gianni Alioti, tra i maggiori esperti e promotori della riconversione e diversificazione nel civile della produzione bellica.

INVITO AL GOVERNO

Il ruolo della responsabilità personale e collettiva è emersa nell’intervento in aula del deputato del Pd Paolo Cova che ha affermato: «la nostra coscienza non può stare tranquilla solo se non produciamo armi o vietiamo di vendere armi a Paesi belligeranti, ma la nostra coscienza non sarà sicuramente pulita se concediamo ancora armi a Paesi belligeranti e se non facciamo niente per evitarlo».  In particolare Cova ha detto esplicitamente: «Chiedo al mio Governo di non essere timido sul commercio delle armi e sul rispetto della legge n. 185 del 1990. Serve un intervento deciso, che porti l’Italia a essere un Paese che non produce, che non triangola armi o è la via di transito di armi vendute a Paesi belligeranti, che, oltre tutto, non sono rispettosi dei diritti umani e compiono violenze sui civili, avendo comunque ben presente che non sarà questa posizione di rifiuto di vendere armi che risolverà il problema, in quanto la stessa Arabia Saudita andrà a comprare armi tramite altri Paesi. L’accordo siglato nei mesi scorsi con gli Stati Uniti per la fornitura di armi ne è un esempio».

Viene perciò allo scoperto in questo scorcio di fine legislatura una posizione ragionata ed esplicita dalla linea della maggioranza governativa. La mozione presentata da Giulio Marcon, capogruppo di Sinistra italiana, è stata firmata dal Pd Davide Mattiello nonché dai demosolidali  Mario Sberna, già presidente dell’associazione famiglie numerose, e   Mario Marazziti, presidente della commissione Affari sociali della Camera. L’altra mozione presentata dalla deputata sarda M5S Emanuela Corda e firmata da esponenti dello stesso gruppo a partire da Luca Frusone, particolarmente attivo su questo fronte, prevede un capitolo specifico sulla dotazione necessaria di fondi per la riconversione industriale come previsto nella legge 185/90. Su posizioni simili anche il gruppo Mdp che raduna esponenti provenienti dal Pd e da Sel.

Nell’intervento in aula, Marcon ha affermato che «ovviamente siamo consapevoli dei problemi che riguardano l’industria militare del nostro Paese e della necessaria riconversione, ma un intervento necessario sarebbe quello di bloccare l’export di armi verso questi Paesi, non alimentare con altra benzina sul fuoco un conflitto che dura da troppo tempo, mettere in campo tutte le iniziative umanitarie di carattere diplomatico, di concerto anche con gli altri Paesi europei, capaci di dare il segno di un’iniziativa di pace del nostro Paese.

Non è certo vendendo le armi all’Arabia Saudita e al Qatar che diamo un segno di pace: magari diamo un segno di interesse al business dell’industria militare, ma dobbiamo ricordare che altre sono le priorità di una politica estera di un Paese che voglia promuovere stabilità, sicurezza e pace in un’area così nevralgica, come quella del Golfo Persico e del Medio Oriente in generale».

Anche il deputato Frusone è intervenuto in aula per presentare la mozione M55 che, come le altre, «è un’iniziativa partita da vari gruppi pacifisti che hanno fatto anche una conferenza, qui, in Parlamento, spero che il Governo, questa volta, ci ascolti, perché altrimenti è inutile qualsiasi ricetta per l’immigrazione, qualsiasi ricetta contro il terrorismo. Dobbiamo, innanzitutto, pensare a dare la possibilità a queste persone di non fuggire dal loro Paese e lo dobbiamo fare con un embargo principalmente italiano, dopodiché vedremo anche l’Europa che cosa vuole fare, ma abbiamo visto che l’Europa non ci ascolta in materia di immigrazione; non possiamo utilizzare l’Europa come scudo per nascondere l’inerzia del Governo italiano».

LA GUERRA IN CORSO

Il governo è intervenuto in Aula con il sottosegretario agli esteri Vincenzo Amendola che ha ribadito la posizione già espressa dagli ultimi esecutivi e dallo stesso Paolo Gentiloni nella precedente veste di Ministro degli esteri. Da una parte, cioè, si afferma che «siamo consapevoli del moltiplicarsi delle notizie di vittime tra la popolazione civile e di infrastrutture di base prese di mira dalle azioni militari di tutte le parti coinvolte nel conflitto; notizie che, peraltro, trovano riscontro nei rapporti delle organizzazioni internazionali umanitarie».

Da una diversa prospettiva si precisa che nei confronti dei singoli membri della coalizione a guida saudita impegnata nello Yemen  «non esistono embarghi, sanzioni o altre forme di restrizione stabiliti a livello internazionale ed europeo. Nel caso specifico dei membri della coalizione, che, tra l’altro, fanno anche parte della coalizione anti-Daesh, le richieste di imprese italiane per ottenere la licenza di esportazione di armamenti sono valutate in modo particolarmente rigoroso ed articolato, caso per caso, sulla base delle norme italiane, europee ed internazionali. Naturalmente, ove in sede di Nazioni Unite o Unione europea fossero accertate eventuali violazioni, l’Italia si adeguerebbe immediatamente a prescrizioni o divieti».

Resta da capire come viene valutato il rapporto presentato il 27 gennaio 2017 al Consiglio di sicurezza dell’Onu da un gruppo di esperti nominati dallo stesso consiglio che hanno detto di avere « motivi sufficienti per affermare che la coalizione guidata dall’Arabia Saudita non ha rispettato il diritto umanitario internazionale in almeno 10 attacchi aerei diretti su abitazioni, mercati, fabbriche e su un ospedale».

Con riferimento all’Arabia Saudita, Maurizio Simoncelli di Archivio Disarmo, intervenendo alla conferenza stampa del 21 giugno, ha ricordato i dati del SIPRI di Stoccolma in base ai quali «nel quinquennio 2012-2016, è il secondo Paese importatore di maggiori sistemi d’arma al mondo, conquistando l’8,2% del mercato globale. Dato interessante è la rapida crescita (+ 212%) delle importazioni tra il quinquennio precedente (2007- 2011) a quello attuale (2012-2016)».

Dati che non sembrano significativi per i Paesi occidentali se, come riferisce Amnesty international, anche l’Alta Corte di Londra ha recentemente  respinto la proposta della Campaign Against Arms Trade (Caat) di arrestare i trasferimenti di armi all’Arabia Saudita al fine di impedire la commissione di  «gravi violazioni del diritto umanitario internazionale nel conflitto armato in atto nello Yemen».

La discussione alla Camera sul testo delle mozioni finora presentate potrebbe esaurirsi entro il mese di luglio oppure slittare a settembre. Molto dipende, come si è visto nell’intervento del Pd Cova, dalla risposta dei singoli deputati destinatari, a prescindere dagli schieramenti, dell’appello alla coscienza presentato il 21 giugno dal Comitato per la riconversione della Rwm assieme a Movimento dei Focolari Italia, Banca Etica, Amnesty international , Rete disarmo e Rete pace.

Qui il resoconto stenografico della seduta della Camera del 17 luglio 2017: da pagina 30 il dibattito sulle armi all’Arabia Saudita

(Nella foto Ansa la manifestazione del 3 aprile 2017 vicino la fabrica di Domusnovas da parte dei gruppi attivi fin dall’inizio sulla questione delle bombe inviate in Arabia Saudita)

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