Lavorare come OSS? Mi piace

L’11 febbraio scorso, colpita dalle parole del messaggio di papa Francesco per la giornata mondiale del malato, ho fissato su dei foglietti alcune parole per donarle come un grazie alle persone della casa di riposo a Roma in cui negli ultimi due anni sono stata per sostituire temporaneamente delle amiche (che seguono da vicino compagne della nostra comunità qui ricoverate).
Dice il papa: «Cari fratelli e sorelle che prestate la vostra assistenza ai sofferenti, in questo Giubileo voi avete più che mai un ruolo speciale. Il vostro camminare insieme, infatti, è “un inno alla dignità umana, un canto di speranza”, la cui voce va ben oltre le stanze e i letti dei luoghi di cura in cui vi trovate, stimolando e incoraggiando nella carità “la coralità della società intera”, in una armonia a volte difficile da realizzare, ma proprio per questo dolcissima e forte, capace di portare luce e calore là dove più ce n’è bisogno».
In questi ultimi mesi mi vien proprio da osservare e voler valorizzare le persone qualunque, quelle che fanno i lavori meno appariscenti, che non saranno mai chiamate in un talk show a parlare, che nella quotidianità di un lavoro, a volte ripetitivo, possono fare la differenza proprio con la qualità della loro prestazione, con quel tocco personale, unico che concorre a Costruire il sociale. È questo il titolo di un libro di Tommaso Sorgi, un sociologo che mi ha dato molti spunti di vita e pensiero con la sua ricerca di una sociologia per l’uomo, lo sforzo di scoprire come persona l’Altro – anche quello che incontriamo per strada, conosciuto o ignoto che sia –, indicando la prospettiva, per ognuno di noi, di riscoprire in sé un attore sociale che può fare la sua parte onde rendere più umano il suo pezzo di società.
E quando il papa ha rincarato la dose con queste altre parole: «Nel mio prolungato ricovero qui in ospedale, anch’io sperimento la premura del servizio e la tenerezza della cura», beh, mi son detta, ma io queste parole le ho viste incarnate nelle persone che operano qui, tutte (logicamente più o meno); ma vorrei soffermarmi in primis sulle OSS che ho avuto sott’occhio giorno dopo giorno, con le quali ho interagito (imparando anche molte cose su come gestire un anziano limitato nelle sue funzioni) e per le quali non posso che confermare quanto ben espresso da Francesco!
Sì, questo pezzetto di società, che vive sotto questo tetto, si compone grazie all’apporto unico di ognuna di loro, che presta la propria umanità così diversa, anche per la loro cultura di provenienza: India, Ucraina, Romania, Polonia, Italia… e così trovi la pacata serenità di chi ha una lunga esperienza e trova nel riferimento religioso (che sia Gesù o Muhammad o…) una motivazione in più, la dolce affettuosità di chi non può fare a meno di dare il bacetto della buonanotte, la gioiosità di chi si sente arrivare da lontano perché dalla tasca esce la musica della radiolina, l’esuberante spensieratezza napoletana (che può divenire rigore teutonico quando si tratta di fare un po’ di silenzio in sala da pranzo mentre si spiattella il cibo), la lucidità di chi legge il contesto operativo usando la ragione in equilibrio col cuore, la sofferenza di chi non può permettersi un maggiore coinvolgimento per salvaguardarsi da emozioni troppo forti…
Ma vorrei proporvi di seguirmi ora per conoscere direttamente da loro questa professione, così come mi hanno espresso in momenti diversi: un po’ di fretta sulla porta della stanza dove un ospite aspettava di essere messo a letto, o in una pausa durante il turno di notte quando sembrava finalmente tutto tacere, o in giardino, su una panchina defilata, perché ’non voglio farmi sentire, non sono brava a parlare’, oppure a fine turno sorseggiando lentamente (più di un’ora!) un caffè. Sono stati scambi sinceri, al di là delle poche o tante parole usate (o per alcune non espresse), ognuna ugualmente importante e preziosa. Grazie allora a: Andreea, Beena, Brikena, Elena, Delia, Jolanda, Marzia, Mia, Nussi, Romina, Sara, Silvia, Smida, Tanja, Tatiana: mi avete “spiazzata” per un comun denominatore, sinceramente, inaspettato. Non pensavo proprio di dover conteggiare così tanti like-mi piace per come vivete il vostro lavoro!
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*È bello stare con loro, accudire, imboccare, fare igiene… con attenzione, perché ogni persona è diversa, con un diverso carattere. Qui siamo tante colleghe, ci si aiuta, siamo in armonia. – Beena
*lo lo vivo con molta felicità e tranquillità perché mi piace molto. Certo la fatica a livello fisico e mentale è tanta, però alla fine non ne risento perchè è un piacere. Gratificazione da parte degli altri nella gran parte dei casi la trovo. Sicuramente gratificazione ce n’é poca a livello sociale, è come sottovalutato e mal classificato questo lavoro. Ma io sento di avere un ruolo importantissimo per la società perché abbiamo in mano comunque le persone più fragili, di tutte le età. Non siamo gratificate non solo economicamente ma proprio a livello sociale, è come se fosse una mansione che puliamo solo popò e basta! Invece c’è tanto altro dietro, c’ è la vita di una persona in senso ampio. Ed i feedback diciamo che ce li ho quotidianamente perché con ogni ospite c’è un rapporto diciamo speciale, nel senso che a me va di trasmettere la positività, la felicità, il sorriso, l’allegria. – Sonia
*Questo lavoro mi piace, è speciale perché noi lavoriamo con anziani, persone che hanno fatto tante esperienze, hanno una vita intera dietro alle spalle e ora cominciano a perdere tutto, ed è una cosa che non tutti accettano. Io ho lavorato anche come badante: là c’era una sola persona, senza figli, e anche noi non avevamo nessuno dei familiari e così mi trovavo a trattarla come mamma. E diventa un lavoro anche molto affettuoso. Però qui è un po’ diverso, c’è un ritmo da sostenere, ci vorrebbe più tempo per stare con loro, ascoltarli, parlare… Quando poi lavoriamo con i malati di Alzeihmer, specialmente con loro, c’è tanta negatività che viene fuori, bisogna dare tanto amore senza agitarsi, così si calmano. – Smida
*Questo lavoro lo faccio da 2015, non sapevo che esistesse, ma siccome ho visto che questa figura professionale era molto richiesta, ho trovato questo corso che ho seguito per un anno e mezzo. E poi mi hanno subito assunta. All’inizio non sapevo di che si trattava, che non era solo l’igiene alla persona, ma un servizio. A parte lo stipendio che non è granché (ma avevi bisogno di uno stipendio, ti serviva un lavoro), ho capito che devi dedicarti alla persona come una figlia che custodisce una nonna o una madre malata. – Delia
*Lo vivo come una vocazione, con passione, ho scelto il nostro lavoro proprio perché voglio vedere le altre persone che stiano bene, quelle che non riescono a farcela da sola. E quando vedi che le persone -non è il caso di questa casa, però può capitare, l’ho sperimentato nella RSA dove ho fatto il tirocinio – sono abbandonate a se stesse, cioè non hanno i parenti che li vanno a trovare, non hanno comunque aiuto dallo stato perché sono numeri che stanno lì a letto, cioè non vengono più considerati come persone… questa cosa non è bella! Il problema è che questo lavoro molto spesso non viene ben considerato, è come se fosse l’ultima ruota del carro, quando in realtà senza quell’ultima ruota il carro non andrebbe proprio avanti! E questo fa un po’ male, ma se non ci fosse questo servizio sarebbe un bel guaio per tutti quanti e basta. Ne dovrebbe essere riconosciuto il valore: l‘OSS non si limita a curare l’igiene personale, il cambio del pannolone o …, è anche una persona che ti stimola a mangiare, che ti fa una battuta, provoca una risata. – Marzia
*Sono 35 anni che lavoro con le mie bellissime sorelle-mamme-nonne, persone stupende che io amo con tutta me stessa. Non mi sono mai stancata nel fare qualcosa per loro. Sono orgogliosa di stare con loro, per me è un onore lavorare in questo campo. Sono persone molto fragili e bisogna avere nei loro riguardi tanto amore e pazienza. Anche adesso che sono in ferie, non vedo l’ora di tornare ad abbracciarle! – Nussi
*Vivo questo lavoro con molta passione perché l’ho scelto: prima facevo un’altra cosa e la vita mi ha portato poi a fare questa scelta qui, che mi dà tanto a livello personale e emotivo. A volte ti scoraggia un po’, però la cosa che mi piace è dedicarmi alle persone più deboli, ci si sente gratificate, perché danno tanto. A volte non ci sentiamo capite anche dalle persone a cui offriamo il nostro servizio, dovrebbe esserci sempre una soglia che non bisogna superare, perché poi si pretende sempre un po’ di più di quanto si dà, che è già tanto… e allora poi dici: ‘ma io già ci metto il massimo!’. È chiaro quindi che bisogna trovare un equilibrio da tutte le parti. Non mi sono mai sentita ferita, un po’ perché… siamo abituate! E poi perché poi si sorvola un po’, si valuta da dove e da chi viene detta quella parolina… Il nostro lavoro lo ritengo importante, anche se viene un po’ sottovalutato, perché sembriamo le persone alla base del… niente! Nella piramide sociale siamo proprio l’ultimo gradino quando in realtà poi il nostro lavoro è fondamentale per portare avanti gli altri. Il contatto umano con le persone con il tempo ti fa vedere tante cose che impari sul campo, che poi riferiamo a chi deve prendere le decisioni. E a volte non essere prese proprio in considerazione, neanche dalle persone che dovrebbero ascoltarci, e non perché uno si deve credere chissà chi, però magari ascoltare il parere di tutti, confrontarsi, è sempre utile ed è fondamentale per far funzionare bene ed in armonia un’equipe! – Sara
*Prima di arrivare qui facevo tutt’altro lavoro, avevo un’agenzia pubblicitaria, mi occupavo di tutto ciò che era immagine, insomma tutta un’altra cosa. Poi a 40 anni ho avuto un figlio e ho chiuso tutto quanto, mi sono fermata per diversi anni per crescere mio figlio. E mi è nato il desiderio di fare qualcos’altro, fin da bambina desideravo fare una cosa del genere, volevo fare infermieristica. Ho iniziato seguendo la mamma di un amico, poi mio fratello, che è morto, ed ho deciso di prendermi l’attestato, perché ho visto che era una cosa che mi piaceva tanto, che mi riempiva tanto ed ho deciso proprio di farlo come mio lavoro. È bello quando vedo negli ospiti, nelle nonnine, gratitudine, che sei un punto di riferimento, perché alla fine noi e la struttura diventiamo la loro famiglia. Negativo no, delle volte si è stanchi perché poi fra i turni, tra le varie cose da sbrigare… Chi ci capisce di più sono quelli che vivono, o hanno vissuto, questo problema delle persone anziane in casa, per loro siamo importanti. Perché sento pure tantissimi elogi per la nostra figura. Per carità magari anche altre figure sono importanti, l’infermiera che ti dà la medicina, ti guarda la ferita, però poi alla fine chi ha il diretto contatto, proprio fisicamente, con il paziente e con i familiari è l’Oss. – Romina
*Non c’è retribuzione o stipendio che possa giustificare, ripagare tutto quello che si subisce. Se non la certezza quando arriva un sorriso dall’altra parte, un sorriso che certifica che abbiamo fatto qualcosa di bello. Questo lavoro o lo fai per missione o altrimenti… non saresti qui! – Jolanda
*Questo lavoro m’ha portato ad una crescita come persona. Siamo di diverse nazionalità, ognuna con il suo modo di essere caratterialmente, anche chi ci mette più o meno passione, però in questo lavoro io penso che sia essenziale essere umani, non puoi lavorare solo per lo stipendio, devi dare anche un po’ di te stessa. Perché tu non lavori con le macchine, lavori con le persone, con il loro corpo, e di più… con la loro anima. Perché qua si viene in un modo e si va via in un altro, quindi ci si prepara a questo passaggio finale. (Fra l’altro sono stata molto colpita proprio vedendo come un gruppo di ospiti è accanto a chi sta per morire con canti, preghiere e poi non dicono ‘è morta’, ma ‘è partita per il Paradiso’! Fa riflettere.) E se all’inizio provavo un po’ di ansia perché mi dicevo ‘Oddio, se oggi a tavola non riesco ad accontentare una persona per un determinato piatto?‘, oggi vengo più tranquilla perché prima di tutto metto la preghiera la mattina. Ecco ‘Guidami tu Signore oggi’. Non mi arrabbio più come una volta se la direzione mi dice ‘ah ma perché?’. Quella cosa so che deve essere fatta in quel modo: se ho la pazienza chiedo alla collega di spiegarmi, se no dico con semplicità: ‘guarda, mi aiuti?’. Ci vuole collaborazione. E comprensione per le persone che soffrono. È difficile vederle a volte in quello stato lì, perché non puoi fare più di tanto: certo, le lavi, le cambi, gli dai da mangiare, rivolgi una parola, dai un bicchiere d’acqua. Certo, stare ogni giorno in un ambiente così non è facile, la forza fisica diminuisce. Ma ci credo in quello che faccio, e mi sono pure affezionata, vedo che quando ho avuto delle difficoltà sul piano mio personale, quando è morta la mia mamma, se io ho chiesto un appoggio, ho chiesto preghiere, l’ho ricevuto. Alle volte in riunione ci confrontiamo con le ragazze e ci diciamo: ‘Ma noi ci rendiamo conto di quanto c’abbiamo?! Quanto Dio ci ha dato?‘. Anche questo apprezzare la vita è importantissimo, a volte dai per scontato certe cose, ma non è tutto dovuto, come si dice. – Tatiana
*‘Il lavoro mi piace’, racconta Elena. Anche se mi confida che nel rapporto con le persone cerca di non farsi coinvolgere troppo, perché ha sofferto tanto, seguendo la madre ammalata per tanti anni, senza un aiuto esterno che la sollevasse un po’, e poi un signore per altri 4 anni alla cui morte ha pianto tanto, si era proprio affezionata. Anche quando esce dal lavoro tira su un po’ come un muro, ma solo per mantenere un certo distacco, perché non le succeda più di soffrire così (e come non capirla?!).
*Mi piace perché è un lavoro dove aiuti gli altri, poi io lo vivo con molta umanità, mentre vediamo bene quello che si sente in giro rispetto a noi che lavoriamo in ambito sanitario. Io non potrei mai agire così “cioè?”… eh, tutto quello che si sente su questi anziani maltrattati, e i bambini! A parte la formazione, ci devi avere un cuore dentro per far ‘sto lavoro, perché se non c’è l’umanità non lo puoi fa’. Io perché sono cresciuta così da piccola e ho avuto sempre intorno persone che ho visto che facevano ‘ste cose: a 11 anni accudivo mia nonna e quando sono venuta in Italia e lavoravo come barista, extra avevo le mie orette con gli anziani, con i bambini. È stata poi mia madre che mi ha spinto a fare questo corso, io non sapevo manco di cosa si trattasse. Poi ho scoperto che mi piaceva, mi dispiace che non sono andata più su, perché vorrei fare l’infermiera, ma non so se ci riesco col tempo. Ma credimi, non lo cambierei mai più. Perché tutti mi dicono: – io ho fatto la fornaia per 9 anni – ‘Ah dovevi rimanere al forno’. No, io questo lavoro non lo voglio cambiare, lo cambio ma se voglio far più su, ma non in un altro ambito. Sì, trovo molte soddisfazioni, come trovo anche tante cose che non vanno. Purtroppo il nostro lavoro è quello che è: scusami dell’espressione, ci chiamano ‘pulisci m….’ e anche se vai su Internet e cerchi OSS quello esce! Ma non è solo quello il lavoro dell’OSS! È il contatto in primis con la persona, da noi parte tutto, per l’infermiera e il medico. Noi soddisfazioni sul lavoro ce l’abbiamo, con le signore, con tutto quello che facciamo, mentre se andiamo sulla parte economica, bè, lasciamo perdere, sarebbe un discorso molto lungo, è che a fine mese non sei soddisfatto come dovresti per tutto quello che fai , alla fine ci rimetti anche un po’ di salute. – Andrea
*Io lo vivo molto serenamente anche perché mi piace. Mi sento gratificata quando sto con le signore, quando faccio del bene io sto bene. Non è tanto diverso da quello che volevo fare: l’infermiera. Si, magari sono realizzata fino a un certo punto, però sto bene uguale. Avevo tanta paura quando ho iniziato un anno fa, paura di non far bene, invece ora vado a casa serena. Ci vuole tanta pazienza però al momento… ce l’ho. Ho un riscontro positivo da tanti ospiti, ricevo affetto, tanto affetto. Quindi ancora di più sono tranquilla e felice. I miei amici mi dicono: ‘Come fai a fare questo lavoro? Perché è pesante’. Al momento non lo trovo così pesante anche perché sono part time. E poi mi dicono ‘ci vuole coraggio, hai un bel coraggio’. – Brikena
Bisogna dire che questa casa di riposo è gestita da una Cooperativa i cui forti valori di riferimento sono un di più non trascurabile. E gira voce che loro sono fortunate a lavorare qui, perché la situazione in altre strutture è decisamente peggiore. Anche perché tante ospiti sono religiose o laiche consacrate, che anche nell’anzianità mantengono lo stile di una vita che le ha viste tante volte in primo piano proprio nel servizio al prossimo e cercano di collaborare positivamente – chi più chi meno! – con chi le cura. Certo non mancano le criticità: nel lavorare in equipe, nei rapporti con chi… sta sopra (e non c’è da meravigliarsi, vero? Non succede forse in ogni azienda?).
*Qua c’è un collettivo, quindi più che altro ci confrontiamo noi colleghe e poi si danno suggerimenti, in base alla maggioranza, di come pensiamo possa essere meglio il servizio per noi e per gli ospiti.
*C’è un piano di lavoro, ci confrontiamo con le colleghe, con la direzione. A volte è difficile arrivare tutte alla stessa conclusione perché ognuno parla, dice la sua in base alla propria sensibilità, però sulle cose essenziali, ci siamo…
*Un giorno in sala da pranzo, mentre si stavano preparando a distribuire i piatti (persino la trippa! Mai l’avrei immaginato in una casa di riposo: ma si sa, le persone di un tempo non avevano bisogno di Gaviscon o simili per digerire!), sento una di loro ripetersi a voce alta come un mantra: “Oggi devo stare calma, oggi devo stare calma”. Le chiedo il senso di questa espressione. “Non è che pensassi alle ospiti, ma lavorando in équipe le idee, il modo di lavorare non è tutto uguale… allora ci sarà un giorno che ti trovi con quelle colleghe che va tutto liscio, ma poi ci sta quel giorno che trovi una collega che non siamo compatibili e allora devi stare un po’ calma…
*È ovvio che vengono prima le signore che non devono subire i nostri lati negativi. Poi cerchi di smaltire fuori l’irritazione che hai dentro. E non dobbiamo portare sul lavoro i nostri problemi familiari.
*Quando scendo le scale la mattina dico un Padre nostro, a volte due, chiedendo di farcela a non arrabbiarmi, a non dire… parolacce! Magari ci riesco per un’ora o due, poi ci casco, ma poi mi riprendo.
*La preparazione è tanta. L’altro giorno facendo il corso dicevamo: ma non dobbiamo fare l’infermiere! Però di fatto fai di tutto con l’attestato da OSS. Certo, tante cose che si studiano, quando stai sul campo è difficile applicarle pienamente, dipende dalla struttura, dalle risorse…
*Una cosa buona è che il lavoro dell’OSS dall’anno scorso l’hanno inquadrato come lavoro usurante. E questo è già una bella cosa, perché qua ti giochi ginocchia, schiena, quello e quell’altro. Puoi usare ausili quanto vuoi (vediamo bene che pure qua, poiché siamo pochi nei turni, non abbiamo sempre i tempi per gli ausili, se dovessi usare un sollevatore per alzare le persone ci metterei il doppio del tempo …).
*A volte non ti danno soddisfazioni dalla parte di più sopra o da chi ha studiato di più, perché non siamo viste per quello che siamo.
*All’inizio, siccome ero una tra le prime straniere che veniva qui, alle riunioni non parlavo mai, anche perché non capivo bene il discorso… ma poi ho preso coraggio e in alcune situazioni ho detto la mia. Anche adesso che sono arrivati i rifugiati, ci confrontiamo con certe situazioni nuove. Perché ci vuole umanità, non bastano quei 5 euro che tu dai alla persona, è un aiuto economico, ma tu devi dare di più…
*Ci sono tante situazioni dove potresti fare di più, è che a volte hai le mani legate… o magari c’è un giorno che dici ‘oggi non ce la faccio proprio, non va’. Hai le mani legate perché c’è poco tempo, ci sono delle procedure da rispettare…
*Sono soddisfatta della formazione avuta, non serve l’università. Ho fatto una scuola vera e propria, un esame vero e proprio, ho studiato un malloppo di libro – che ho pensato che con quel libro divento medico e non OSS! E da quel libro hanno pescato delle domande, che non ce le hanno date prima per dire: studiatele. Però ci stanno scuole che in 6 mesi manco ci vai a scuola e ti danno il diploma, anche se non parli neanche italiano. Sì, questa è un’altra cosa che ti dà un po’ fastidio. E poi al lavoro ti devi confrontare e scontrare con questa gente che non sa neanche che cos’è un OSS, però ha l’attestato e magari comanda più di te perché è raccomandato, ne ho viste di cotte e di crude… Parlo in generale, non per questa realtà specifica.
*Anche la struttura potrebbe fare di più, anche avere dei momenti di aggiornamento, non basta solo il corso all’inizio, anche perché gli ospiti si sono moltiplicati, diversificati, ora ci sono anche i rifugiati. In altre strutture so che ci sono più possibilità, (ma in tante altre anche meno) Il problema, anche per questo, immagina quale è? Non ci sono soldi abbastanza!
Dura, vera realtà per tante attività socio-assistenziali in questi tempi. Per fortuna che questa scarsità di risorse non inficia la vita, il flusso d’amore che va e che viene. Un’ operatrice confida: «Qui mi è stata data una botta di vita», ed un’altra «Gratificante è quando vedi una persona lì da sola: tu gli fai una battuta e ride, scherza, gli si illuminano gli occhi!».
Ora ditemi: non è un bellissimo lavoro quello che sa accendere la luce negli occhi delle persone?! (magari l’avessi saputo fare io con tutti miei studenti!). Capisco ora quei like! Grazie.
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