L’attesa di Milano
Famiglia, lavoro e festa, Milano: una manciata di giorni la separano dal grande appuntamento mondiale delle famiglie con il papa dal 30 maggio al 3 giugno. Il VII Incontro mondiale delle famiglie è alle porte e la città si domanda cosa accadrà. Se da una parte si prepara a vivere con curiosità l’evento, dall’altra si domanda anche che cosa l’evento lascerà in chi vi ha partecipato, ma anche in chi l’evento lo vivrà a margine. Per il giornalaio di San Babila, ad esempio, «è la solita cosa della Chiesa, l’evento è la visita del papa, il resto una coreografia messa attorno per farlo restare a Milano tre giorni». Per Vincenzo, benzinaio di via Palmanova, padre di tre bei bimbi, «lavoro e festa, tema dell’incontro, non hanno nulla a che fare con la famiglia, perché bisogna parlare di crisi della famiglia, di problemi legati alla convivenza, di figli».
Il comune intanto sta collaborando con la diocesi ambrosiana per accogliere Benedetto XVI e le famiglie. «Il loro arrivo sarà accolto con gioia dalla nostra città dove già tutti i giorni, in ogni quartiere, i milanesi si aprono alle centinaia di famiglie che provengono da tutto il mondo – dice la vicesindaco Maria Grazia Guida –. Basta ricordare che nelle nostre scuole il 20 per cento dei bambini ha genitori stranieri».
Achille, uno dei coordinatori della diocesi per l’accoglienza, si dice entusiasta. «C’è attesa, desiderio di incontrarsi, di aprirsi, per conoscere le ricchezze che le famiglie in arrivo dai continenti doneranno alla nostra società. E questo sarà un motivo di crescita e di maturazione reciproca». Le famiglie che arrivano da lontano saranno ospitate in 33mila posti letto messi a disposizione da 11mila famiglie della diocesi. E questo fa dire a mons. Erminio De Scalzi, vescovo ausiliare di Milano, presidente del comitato organizzatore dell’incontro, che «il cuore dei milanesi è stato riscaldato».
In piazza della Borsa un signore commenta così il tema del VII Incontro delle famiglie: «Famiglia e lavoro riguardano tutti: famiglie, aziende e parti sociali. Questo vuol dire rivedere l’organizzazione dei tempi di lavoro e dei tempi della città».
Sarebbe auspicabile che tra le indicazioni che emergeranno dalla settimana milanese si pensasse anche a un nuovo modello di economia capace di includere le persone attraverso un lavoro a misura di cittadino e di famiglia perché «credo proprio che sulla famiglia si giochi tanto del futuro del nostro Paese e della Chiesa», ha ricordato De Scalzi.
«La sfida oggi è di testimoniare la bellezza della vita familiare e insieme di sostenere il lavoro e l’impresa». Così la pensa don Walter Magnoni, responsabile del Servizio per la pastorale sociale e del lavoro di Milano. C’è bisogno insomma di un segnale forte per rigenerare comunità e per ricostruire il Paese anche attraverso le famiglie.
Vitalità della famiglia
Il libro Famiglie vive. Storie di Vangelo, scritto da Aurelio Molè ed edito da Città Nuova, presenta 12 storie di vita di famiglie cristianamente impegnate, da vari continenti, diocesi e movimenti di animazione e formazione cristiana delle famiglie. Le storie sono raccontate con stile diretto e divulgativo, nella convinzione che la narrazione della fede, per toccare i cuori e le menti dei lettori, non abbia bisogno solo di costrutti filosofici e teologici, dunque con taglio di teologia narrativa. Se ne ricava la conferma che la famiglia è di per sé “una buona novella”, soggetto evangelizzante, che sia competente o meno in campo teologico, perché “immagine di Dio” sin dall’inizio della creazione e dunque protagonista della rivoluzione cristiana. La convinzione dell’autore – e anche la nostra nonché delle scienze pedagogiche – è che i figli più che di due genitori che “li” amano, hanno bisogno di due genitori che “si” amano, ovvero di vedere realizzato l’amore reciproco.
Il resto è una conseguenza che conferma quanto l’amore sia evangelicamente creativo: vi sono coniugi che per ottenere un certo comportamento a tavola s’inventano un gioco e poi un gioco-catechismo, altre che cominciano con un gesto di carità verso un povero e fondano poi una casa di accoglienza, altre ancora che inventano una liturgia per ogni stanza della casa. Non mancano cenni sul ruolo socio-politico che può avere quello che noi amiamo chiamare “umanesimo familiare”.
Non si può leggere il libro pensando di copiare – ogni storia d’amore è unica come le persone coinvolte – ma s’intuisce che è possibile fare grandi cose, perché altri sposi le hanno fatte.
Docente di Sociologia della famiglia, università di Chieti