L’attentato a Grand Bassam colpisce anche noi
Ho visitato Grand Bassam il 6 agosto scorso, alla vigilia della festa dell’Indipendenza Ivoriana: 55 anni, in cui la Costa d’Avorio ha cercato con fatica di trovare il proprio equilibrio politico e sociale. Due guerre civili hanno attraversato recentemente il Paese: nel 2002-2003 nella regione occidentale, e nel 2010-2011, nella capitale economica Abidjan.
A fatica e lentamente, il tessuto sociale si sta ricostruendo, e solo scavando un po’ trovi le tracce e i segni di quello che la guerra ha lasciato: posti di blocco tra una città e l’altra, funzionari delle Nazioni Unite addetti ai programmi di disarmo, ricordi dolorosi e tragici nelle storie personali. Anche le elezioni a ottobre scorso si sono svolte pacificamente, confermando alla guida del Paese il presidente Ouattara, mentre il suo predecessore Laurent Gbabo – che vanta ancora un grosso seguito – è sotto processo al Tribunale Penale Internazionale per crimini contro l’umanità.
Grand Bassam è a pochi chilometri da Abidjan. Non ero lì per turismo, ma per un periodo di volontariato sociale tra Abidjan e Man, presso la cittadella internazionale dei Focolari. Annotavo sul diario di quel giorno: «Bassam è una città storica dell’epoca coloniale che affaccia sull’oceano: ne assaporiamo l’odore e il fragore. Lì visitiamo il museo del costume in quella che era stata la casa del Governatore, anche il suo bagno alla francese fa parte del museo stesso!
Ma Grand Bassam è caratteristica anche per il quartiere dell’artigianato locale: legno, batik, terracotta… si trova di tutto. Davanti c’è il negozietto e dietro la bottega. Tra galline, bambini e la vita che scorre. Per strada donne e ragazze con i cesti in testa che vendono cocco (ne beviamo e mangiamo uno), noccioline, patate dolci, platain; come trovi negozietti di coiffeur, cybercafé, supermercati, vendita di componenti di elettronica, accanto a case piene di gente, tutto mescolato sulla strada dove non distingui cosa è pubblico e cosa è privato. Ogni tanto trovi qualcuno che dorme nei posti più improbabili. Quando rientriamo è l’ora del pesce. I pescatori saranno ritornati col loro carico e c’è pesce dappertutto.
Negli spostamenti in macchina Monique mi offre delucidazioni su alcune usanze tipiche… il matrimonio “tradizionale”, coutumier, che precede quello civile e religioso, dove a contrarre il matrimonio non sono gli sposi ma le loro famiglie. O il concetto di “generazione”, che non comprende tutti quelli nati nello stesso anno o epoca, ma: tutti i primi figli, tutti i secondi e così via… Cosicché all’interno di una stessa generazione si trovano persone di età diverse. La giovane guida del museo del costume ci spiega gli stadi di iniziazione, la struttura delle case nei diversi villaggi ivoriani, la poligamia, gli abiti del capo villaggio… un sistema di simboli che farebbe impazzire qualsiasi antropologo».
La notizia dell’attentato a Grand Bassam, rivendicato da al Qaeda, il contagio del terrorismo nella violenza dilagante, intristiscono profondamente e rischiano di indebolire il percorso di un processo di pace che sembrava ben incamminato. Il livello di allerta sale, ma nello stesso modo cresce l’impegno della popolazione – e sono tanti che ci credono – a mettere le basi per una società nuova. Lo stesso giorno dei 16 morti in riva all’Oceano, a Cocody Mermoz, un altro quartiere di Abidjan, si svolgeva un incontro dal titolo “L’amore costruisce la pace”. Ricordava il premio Unesco per l’Educazione alla Pace conferito a Chiara Lubich 20 anni fa. Grano buono e zizzania crescono insieme.
«Il terrorismo è frutto di forze del Male con la M grande, contro il quale non bastano le forze umane», ricordava Chiara Lubich all’indomani della strage delle Torri Gemelle. E oggi, che ricorrono 8 anni dalla sua morte, possiamo riproporci insieme il suo grande sogno,e chiedere di avere almeno un pizzico di quella fede che la animava: ripuntare alle «forze del Bene, con la B grande […] quelle di chi ama Dio», e «avere questa sicurezza: che con Dio sono possibili le cose impossibili».