L’atomica e gli “eroi del Telemark”
Era la fine di aprile. Una pioggia insistente cadeva dalla sera prima su Ålesund. Un fenomeno fastidioso ma non inusuale per quella stagione, nella città norvegese che galleggia sul mare e vive del mare, poco più su del 60° di latitudine Nord. Mentre camminavamo, il vento gelido, ancora profumato di neve, soffiava sulle case, accarezzava la pietra, appannava gli occhi, facendoti perdere i dettagli dell’opera restauratrice dell’imperatore tedesco Guglielmo III, dettagli di un classico Jugendstil reinterpretato secondo i miti e l’estro della migliore tradizione scandinava.
L’appuntamento era stato fissato sulla cima della collina Aksla, 418 scalini sopra Ålesund, dove si trovava e si trova il belvedere di Kniven. Mi trovavo lì a caccia di storie legate alla Resistenza norvegese durante l’occupazione nazista. In città avevamo programmato soltanto una tappa al Museo di Ålesund, dove si trovava una bella sezione dedicata allo Shetland Bus, il “servizio” clandestino di collegamento con le isole Shetland, in territorio scozzese, messo in atto da coraggiosi equipaggi di pescatori che, nascondendo nelle stive delle proprie navi (non più lunghe di 15-20 metri) partigiani, viveri e armi, attraversavano il Mar del Nord per contribuire alla liberazione del proprio Paese. Questo il programma. Ma Bente, la nostra guida in loco, ci aveva sorpreso organizzandoci un’intervista con un testimone speciale: Joachim Rønneberg, il leader del gruppo di incursori che materialmente impedì a Hitler la produzione di acqua pesante, fluido necessario nella produzione di armi nucleari. Storia celebrata anche da Hollywood, con un film del 1965, dal titolo Gli eroi del Telemark, con Kirk Douglas come protagonista.
Il fatto era sorprendente perché Mr. Rønneberg aveva evitato per tanti anni di raccontare la propria storia. Aveva tenuto fede al suo proposito fino a qualche mese prima, quando aveva compiuto 80 anni e qualcosa in lui era scattato. Aveva cominciato a sentire come un dovere verso la propria nazione, verso l’umanità, quello di ricominciare a ricordare e a raccontare. Ma stavolta voleva farlo senza clamore, e così era partito dai più piccoli, dai bambini delle scuole di Ålesund. E ora aveva accettato di raccontarsi anche con noi.
L’accesso al sentiero che portava al belvedere, luogo del nostro appuntamento, era sorvegliato dalla statua di Rollon, avo di Guglielmo il Conquistatore. Vedevo Rollon, e la mia mente ansiosa materializzava la parola “eroe” mentre un senso di inadeguatezza mi saliva in gola: come ci si presenta all’uomo che ha materialmente impedito ai nazisti di creare per primi la bomba atomica?
Poi, lo vidi. Altissimo, ancora un bell’uomo, qualcosa del suo aspetto mi rammentava davvero un attore americano, non Kirk Douglas, più il Clint Eastwood di Gran Torino. Mi strinse la mano forte e, d’improvviso, Mr. Rønneberg, con i suoi occhi azzurri velati dal vento forte, da eroe irraggiungibile tornò ad essere un essere umano. Fu così che mi raccontò della sua Ålesund, la “piccola Londra”, come la chiamava Hitler stesso, per l’irriducibile spirito antinazista dei suoi cittadini. Fu così che ascoltai ancora una volta la storia dello Shetland Bus, delle migliaia di giovani che proprio da qui, da Ålesund, lasciarono la Norvegia per arruolarsi nell’esercito inglese e combattere per liberare la propria terra, nascosti nelle stive dei pescherecci che facevano rotta impavidi verso le isole Shetland. Anche lui, un giorno, aveva attraversato il Mar del Nord per raggiungere la Scozia e, da lì, Londra.
Ma della missione di sabotaggio del 27 febbraio del 1943 aveva una visione tutt’altro che eroica. «Non avevamo un vero piano, semplicemente, speravamo che le cose andassero per il meglio. Molto è successo perché abbiamo avuto fortuna – raccontò semplicemente –. Noi non sapevamo cosa venisse fabbricato a Vemork ma, prima di lasciare l’Inghilterra, ci fu detto che la nostra azione aveva la massima priorità».
Infatti, il programma nucleare militare tedesco necessitava dell’acqua pesante per potersi ulteriormente sviluppare. La Norvegia, occupata dai nazisti, con l’impianto “Norsk Hydro”, a Vemork, nel Telemark, era l’unico Stato a produrre questo materiale nel 1940. Pertanto, dal punto di vista degli Alleati era necessario distruggerlo, per impedire che la Germania si armasse per prima della bomba atomica.
Joachim e i suoi compagni, furono paracadutati il 27 febbraio 1943. Nella notte tra il 27 e il 28 febbraio, discesero la valle di Rjukan, ed entrarono furtivamente nella fabbrica sorvegliata dai nazisti. Entrati nei locali di produzione, piazzarono gli esplosivi e li fecero saltare. Fu così che furono distrutti 1500 kg di acqua pesante.
«Durante la guerra, la nostra azione non sembrò più speciale di altre – ammise –, solo dopo capimmo l’importanza di quello che avevamo fatto. L’attenzione dovrebbe concentrarsi di più su coloro che non hanno avuto successo, per onorare la memoria di chi ha dato la vita per il nostro Paese».
«Talvolta – disse una volta Joachim Rønneberg – ti viene da pensare che non abbiamo ancora imparato la lezione. Bisognerebbe essere più intelligenti e cooperare, cercare di parlarsi e provare a capirsi. Non ha senso non cercare soluzioni insieme e accettarsi, reciprocamente». Come dargli torto?