L’Assunta gloriosa del Tiziano
L’apparizione è sconvolgente. Entrando nella basilica veneziana dei Frari, l’occhio scorre rapido dalle arcate gotiche fino all’abside. Essa è un sole abbagliante. Ma non sono tanto le vetrate a produrre l'effetto luminoso quanto una tavola alta, immensa (cm. 690 x 360) che vi domina come una visione di un altro mondo.
Si ha di fronte ad essa la medesima sensazione di quando, a Dresda, ci si avvicina man mano dalle diverse sale a quella centrale dove Raffaello ha dipinto la Vergine che discende dalle nubi fino a noi portando il Bambino in braccio. Lì il cielo scende in terra.
Qui a Venezia la terra viene portata su nel cielo. Un sole dorato sfolgora al centro della pala monumentale, dietro la figura della Vergine assunta. La donna dell’Apocalisse “vestita di sole” sta con lieve passo di danza sopra le nubi e guarda il Padre che le viene incontro fra gli angeli, coprendola, come già nell’Annunciazione, con la sua “ombra”. Maria è come la sposa del Cantico dei Cantici che va incontro allo sposo.
È straordinaria l’unità in quest’opera fra estetica e profondità teologica.
La Vergine vestita di rosso –segno dell’amore – e del classico manto azzurro – simbolo del cielo -, con un velo trasparente sul petto – altro segno del suo essere immacolata -, apre le braccia nell’estasi di gioia.
Il volto perso nell’atmosfera luminosa vive di un rapimento d’amore fra i più belli della storia dell’arte, e più spirituali. La figura di Maria si staglia immensa su un fondo altrettanto immenso che è tutto oro e luce, la luce del Verbo che è suo Figlio. Tutta la tavola si gioca sul rapporto Maria-Padre che nello spazio dilatato in fulgori abbaglianti si guardano, si attendono, si amano con lo sguardo l’uno nell’altro. Maria appare come “la figlia di Dio”.
La corona di putti angelici che la circonda – corona di gloria – è un tripudio dinamico mosso dal vento dello Spirito, impetuoso ma leggero. Le vibrazioni della luce, che la pennellata calda e larga di Tiziano rende vitali, aleggiano sui corpi, sui volti, passando come in una sinfonia dai toni più accesi a quelli più delicati: le infinite “variazioni” dell’oro intorno al Padre sono da sole un capolavoro di finezza pittorica e di raffinatezza spirituale: Tiziano fa sentire a chi guarda l’infinità “infinita” – si perdoni il bisticcio di parole – del paradiso. Qui la luce canta un gloria, grazie al colore così intenso steso dalla mano felice del pittore.
Al trionfo celeste corrisponde in basso il dinamismo accentuato degli apostoli che osservano la scena, ossia di noi uomini ancora rimasti in terra. Sono, gli apostoli, figure gigantesche, costruite a grandi campiture di colore violento, aggressivo, a dire la drammatica forza della visione. Chi indica il cielo, chi tace e osserva, chi prega e crede, che esulta, chi grida. Si potrebbe dire che Tiziano riprende le diverse espressioni dell’uomo, le sue differenti prese di posizione, di fronte al mistero, all’inconcepibile. Tiziano racconta come l’uomo si pone di fronte alla fede.
Il rimando alla Trasfigurazione di Raffaello che si andava compiendo in quegli stessi anni – la tavola tizianesca è del 1516-18 -, è evidente nella gestualità dei personaggi umani come nel “clima” dell’estasi soprannaturale. Ma al cosmo azzurro e candido di Raffaello, Tiziano preferisce un paradiso tutto oro e fiamma, una voragine immensa di luce in cui Maria sta per essere “assunta”, figura con un corpo, plastico sotto le vesti ampie al vento.
Tiziano dice la verità della resurrezione della Vergine, e della nostra futura resurrezione.
Certo guidato dai dotti teologi francescani del convento dei Frari, il pittore ha potuto esprimere una tale profondità di contenuto. Ma sua – e del rinascimento maturo – è la capacità di dar forma e colore, cioè vita, al mistero dell’amore fra Dio e l’umanità.
La tavola diventa perciò un inno glorioso, un trionfo dell’amore come luce ed energia.
Tiziano l’aveva intuito. Ed è bello sapere che la sua tomba è proprio in questa chiesa, dove egli ha dipinto una delle più straordinarie epifanie artistiche del divino.