L’Asean farà qualcosa per il Myanmar?

È una delle guerre dimenticate dai mass media, quella che va avanti ormai da 3 anni (dal 1° febbraio 2021) in Myanmar tra il regime del generale Min Aung Hlaing ed il popolo birmano, che chiede e vuole democrazia. Nonostante l’avanzata della resistenza anti-regime, la pace non sembra ancora abbastanza vicina
Myanamra Giunta militare Ansa epa11046732

Il 28-29 gennaio, i ministri degli Esteri dell’Asean (Associazione delle nazioni del sud est asiatico) si sono riuniti nella storica città di Luang Prabang, fino al 1975 capitale del Laos. Era il primo incontro da quando il Laos, all’inizio del nuovo anno, ha assunto la presidenza (di turno) dell’Asean, succedendo all’Indonesia.

È oggettivamente difficile aspettarsi qualcosa per il Myanmar da questa riunione, tanto più che il Laos fa parte di quei paesi dell’Asean, che prediligono le maniere forti, cioè quelle, per intenderci, che eliminano l’opposizione a colpi di carcere, nel migliore dei casi. Come potrà il Laos dare voce alle istanze di democrazia del popolo del Myanmar, quando in Laos esiste un solo partito dominato da pochi e vecchi leader indiscutibili?

Il tema per il nuovo anno di presidenza sarebbe: “Asean: migliorare la connettività e la resilienza”. Ma, proclami a parte, i punti salienti dell’incontro erano già noti e discussi ben prima degli incontri ufficiali dei giorni scorsi: al centro c’è la difficile situazione nel Mar Cinese Meridionale, oltre a temi non ufficiali, come l’influenza cinese, del governo ma anche delle mafie, potenti e arroganti (come tutte le mafie) e con ingenti capitali da investire.

In Myanmar, intanto, il conflitto tra il regime militare e l’ampia coalizione di organizzazioni di resistenza si è intensificato con l’arrivo della stagione secca. Con l’avvio della “Operazione 1027” (iniziata il 27 ottobre), la resistenza ha spazzato via centinaia di postazioni militari, conquistando oltre 40 città, danneggiando importanti vie commerciali con la Cina, l’India e il Bangladesh e soprattutto assicurandosi il controllo di ingenti scorte di armi e munizioni.

L’esercito del regime, il Tatmadaw, da sempre etichettato come “invincibile” dai militari, ha in realtà mostrato gravi debolezze: non di rado interi battaglioni hanno alzato bandiera bianca. Gli attacchi della resistenza hanno effettivamente favorito una maggiore unità di intenti e coesione tra i gruppi coalizzati di opposizione al regime. Ma ad oggi la ricerca di vere soluzioni di pace è difficile che trovi sostegno e appoggio dalla comunità internazionale.

A tre mesi dall’inizio dell’Operazione 1027, diplomatici, alti funzionari e analisti continuano a “leggere le foglie di thè”, come si dice da queste parti: gli interessi commerciali che legano i governi cinese, thailandese e indiano con i generali del regime birmano sono tali che nessuno si avventura ad appoggiare un cambio radicale di governo in Myanmar, per paura di perdere interessi e vantaggi economici. Anche se il cambiamento è atteso da più di 60 anni. Non si intravede una via d’uscita, soprattutto politica, che sia coindivisa e accettata a livello regionale e internazionale: invece qui starebbe la chiave per la pace e il futuro del Myanmar e dell’intera regione.

In passato si sarebbe potuto guardare alle Nazioni Unite o ad altri organismi internazionali per trovare una piattaforma più inclusiva per le parti interessate ad una svolta, ma le Nazioni Unite non riescono neppure a designare un loro inviato speciale per il Myanmar da più di sei mesi: il governo del regime militare lo rifiuta a priori. La comunità internazionale è sembrata piuttosto sollevata quando, tempo fa, l’Asean si era assunta l’onere di trovare soluzioni alla crisi del Myanmar. In realtà, forse si trattava solo di una scusa per manetenere lo status quo: molti stati membri dell’Asean mantengono ottime relazioni d’affari con il regime del Myanmar. Se i democratici birmani prendessero il potere, che succederebbe? Così, almeno fino a poco tempo fa, i Paesi vicini non sembravano troppo preoccupati di ciò che stava accadendo in Myanmar. Business is business.

L’eccezione è stata la Cina, che aveva legami decennali con i gruppi armati etnici lungo il suo confine. Quando gli inviti cinesi rivolti al regime militare del Myanmar di agire contro la criminalità transfrontaliera sono caduti nel vuoto, la Cina avrebbe dato il proprio via libera all’Operazione 1027 della resistenza. Ciò ha portato allo smantellamento di numerosi centri di truffa online presenti nel territorio del Myanmar, appena al di là del confine con la Cina, e in qualche modo conniventi con il regime militare birmano. Da questi centri di confine, una schiera di dipendenti, che lavoravano in condizioni di schiavitù, frodavano innumerevoli vittime innocenti in tutto il mondo, ma soprattutto in Cina.

L’India, che ha finora ampiamente sostenuto il regime militare del Myanmar, ha adesso annunciato che costruirà una recinzione lunga 1.643 chilometri lungo il confine. Al recente vertice del Movimento dei paesi non allineati, Bangladesh e regime birmano hanno continuato a discutere del rimpatrio dei rifugiati Rohingya, anche se il regime birmano sta rapidamente perdendo terreno nello Stato di Rakhine settentrionale, luogo di nascita di molti Rohingya.

Sebbene i contatti tra la comunità internazionale e la resistenza, il fronte Nug (National Unity Government), stiano aumentando, prevalgono ancora le esitazioni. Il fatto è che molti Paesi confinanti o vicini sono stati colti di sorpresa: non avevano mai creduto che le “invincibili” forze militari del regime potessero essere sconfitte dalla resistenza. L’incertezza si manifesta appunto con misure avventate come la costruzione di muri di confine o nel continuare a trattare con un regime che ha ormai perso il controllo territoriale su gran parte del paese, che non è più in grado di mantenere l’ordine pubblico o di fornire servizi di base alla sua popolazione.

Nessuno riesce a prevedere cosa accadrà in Myanmar nei prossimi mesi e anni, e questo rende più importante che mai ascoltare le voci di coloro che, come il Nug, hanno gettato le basi per una nuova e inclusiva democrazia federale. Date le enormi sfide che attendono i Paesi del sudest asiatico, l’Asean e la più ampia comunità internazionale dovrebbero decidersi a sostenere il Myanmar democratico, favorendo anche le opportunità che questa scelta potrebbe offrire all’intera regione.

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