L’ascolto dei minori
Dare spazio ai minori, dare “dignità” alla loro voce, per riconoscerle profonda valenza sociale, politica, giuridica. Questo il leit motiv di un importante convegno tenutosi in marzo a Roma dal titolo impegnativo “L’abuso all’infanzia e all’adolescenza: l’intervento integrato”. L’intervento “integrato” è quello che i diversi operatori presenti si sono augurati che si realizzi tra le istituzioni, la famiglia, la scuola, le forze dell’ordine e non ultime le associazioni di categoria, nel modo più consono alle sempre più articolate e differenziate esigenze e difficoltà del pianeta “minori”, afflitto dalla piaga dell’abuso e della sopraffazione. I dati raccolti dall’Associazione Telefono Azzurro in un anno di attività parlano chiaro: da metà del 2001 al primo semestre 2002 sono arrivate 511.453 telefonate di aiuto; le consulenze sono state 36.208 (con una media di 99 al giorno) e tra queste 5.877 sono stati i casi di abuso rilevanti registrati, cioè 16 al giorno. Le regioni a più alto indice di violenza su minori sono la Lombardia ed il Lazio. Ora – come è stato rilevato dal dr. Giuseppe Magno, già direttore del dipartimento minori del ministero delle Giustizia e magistrato della Corte di cassazione – il problema principale è quello di evitare di “far finta” di ascoltare i minori, principali protagonisti – contro la loro volontà – delle tristi vicende denunciate, ma innalzare l’audizione dei minori a livelli di più ampia e riconosciuta dignità umana e giuridica: insomma non un “contentino”, ma uno strumento valido, efficace, costruttivo cui fare ricorso sistematicamente e che – insieme con altri – può concorrere a disegnare il quadro complessivo e generale entro il quale s’inscrive la vicenda abusiva, per coglierne più da vicino le cause, per accertare le responsabilità, e soprattutto per predisporre rimedi. Per la d.ssa Melita Cavallo, presidente della Commissione adozioni internazionali e pure presente al convegno, la parola d’ordine è “prevenzione”, e – noi aggiungiamo – anche formazione culturale e psicologica, tanto latitante ai nostri giorni, lì dove – soprattutto nelle famiglia e nella scuola – dovrebbe esserci la fucina, la scintilla ispiratrice del procedimento costruttivo e formativo della personalità: un procedimento che non può prescindere dall’ascolto del minore, da un atteggiamento di apertura attenta e sensibile da parte del mondo adulto ed “istituzionale” verso le sue concrete, reali esigenze. Solo che tutto ciò non può rimanere sul piano delle “pure intenzioni”: a ben vedere già la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (recepita in Italia con legge dello Stato n. 176/91) stabiliva per il “fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa”, dandogli così “la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato”. Ma chiediamoci: ciò in realtà accade sul serio? Si tengono in debito conto nell’ambito di tale procedure le opinioni, le valutazioni, e, prima ancora, le sensazioni, tutto il “mondo” dei minori? Non c’è il rischio che questi princìpi così solenni rimangano mere enunciazioni e non si riflettano poi sul piano dei rapporti tra le persone nonché tra persone ed Istituzioni? È notizia proprio di questi giorni che finalmente è stato approvato dal Parlamento italiano il disegno di legge che ratifica la Convenzione europea sui diritti del fanciullo, firmata a Strasburgo il 25 gennaio 1996. La Convenzione stabilisce l’obbligo di ascoltare i minori in ogni procedimento giudiziario che li riguarda e di tenere conto della loro volontà; viene riconosciuto, poi, il diritto del minore ad essere informato sulle conseguenze di ogni decisione adottata, nonché il diritto ad essere consultato su questioni che lo riguardano direttamente, come l’affidamento in caso di separazione. Inoltre essa prevede la figura del “rappresentante del minore”, persona di fiducia del minore che avrà il compito di aiutarlo ad esprimere la sua volontà davanti ai giudici e a comprendere ogni passaggio processuale. La ratifica della Convenzione segna un indubbio progresso di una società che voglia tenere in debito conto la figura del fanciullo.Anche se essa da solo non può bastare, è ovvio. “Maxima debetur puero reverentia” (al fanciullo va prestato il massimo rispetto), dicevano i latini; chiediamoci anche noi se ciò è vero, se ciò è vero per le nostre istituzioni, se è vero nei rapporti quotidiani di chi (soprattutto per il ruolo di educatore e/o genitore che assume nella società o nella famiglia) si trova ad avere quale suo interlocutore un fanciullo; se è vero soprattutto in riferimento a quella scala di valori e di priorità che ognuno di noi si dà e che inevitabilmente viene a definire contenuti, movenze, finalità del suo pensare ed agire di ogni giorno.