L’ascolto dei giovani è il primo ponte
Nell’attuale emergenza economica, i grandi assenti sono coloro che più avrebbero bisogno di farsi sentire. Il futuro. Le nuove generazioni. Coloro che stanno preparando il medio e lungo termine, mentre tutti siamo concentrati sul breve o brevissimo termine, più preoccupati dello spread che delle pagelle dei nostri figli, più dell’Imu che dei nostri giovanotti senza lavoro. Nessuno sembra difenderli. Persino il moderatissimo Monti, in una lunga disamina sulla situazione del mercato del lavoro, ha pronunciato parole che, pur estrapolate dal contesto, sono suonate come una condanna: «L'idea di un posto fisso per tutta la vita? Che monotonia!». Per non parlare dei sindacati che, difendendo i loro affiliati, più di metà dei quali sono pensionati, dimenticano il dovere di dar voce a chi non ha un lavoro.
E invece. E invece bisognerebbe alzare lo sguardo dal breve e brevissimo periodo, per capire che se non diamo voce ai giovani, e soprattutto se non li ascoltiamo, non solo non abbiamo il futuro assicurato, ma ben presto dovremo curare malattie sociali gravissime. Da più parti viene l’allarme per una possibile risorgenza del radicalismo violento, se non del terrorismo; psichiatri e psicologi denunciano la grave fragilità derivante dalla precarietà; i sociologi della liquidità sociale evidenziano come i giovani siano sì i più atti ad affrontarla, grazie anche alla rivoluzione digitale, ma nel contempo stigmatizzano la loro difficoltà a raggiungere una stabilità sociale, oltre che lavorativa.
Il 14 marzo 2008 Chiara Lubich ci ha lasciati, quattro anni fa quindi. Nella sua vita aveva indicato la via dell’ascolto e della valorizzazione delle nuove generazioni come uno degli atti di maggiore sapienza umana e sociale possibili. Lei i giovani li ascoltava, li sapeva ascoltare, e in loro coglieva fonti d’ispirazione fresche e innovative, intuendo e praticando una dimensione oggi indispensabile, la relazione tra generazioni. La foto da noi scelta per lo speciale edito per il suo funerale, riprodotta in questa pagina, la coglie proprio in un momento di profondo ascolto di chi le stava parlando, guarda caso un giovane. Si può tranquillamente affermare che l’interlocutore di turno della Lubich si sentiva sempre un re, una regina, l’uomo o la donna più importante del globo. Perché per lei, in quel momento di relazione, in effetti al mondo esisteva solo chi le stava parlando, su cui si concentrava, come la luce che passa in una lente, tutto il suo amore per Dio e per l’umanità. Facendo così, Chiara si sentiva poi autorizzata a indicare le vette più alte a quei giovani, senza mai formulare richieste al ribasso. Lei chiedeva loro «tutto».
Non a caso, allora, quest’anno i Focolari ricorderanno Chiara nel suo rapporto coi giovani, il prossimo 11 marzo, a Castel Gandolfo (www.focolare.org). Giovani che hanno deciso di organizzare a Budapest, dal 31 agosto al 2 settembre 2012, un Genfest, incastonandolo in un lungo anno di riflessione e azione, direi di laboratorio, inaugurato e concluso dalle manifestazioni consuete del Primo Maggio 2012 a Loppiano e concluso nel 2013. Un titolo, Let’s Bridge, che potrebbe essere tradotto con “lasciateci costruire ponti”.