Lasciamoci cambiare
Immaginiamo di trascorrere due ore con una decina di persone che non conosciamo, di diversa età e provenienza geografica, laici ed ecclesiastici, a condividere le nostre idee su argomenti importanti e precisi. Per ben quattro volte, a giro, viene chiesto ad ognuno di fare un intervento di tre minuti dicendo, dalla seconda volta in poi, come è cambiato il proprio punto di vista dopo aver ascoltato gli altri.
Quanto descritto non è fantasia, ma la testimonianza di persone che stanno partecipando al percorso sinodale triennale della Chiesa cattolica, sia a livello italiano che internazionale. Un’esperienza che parte quindi da un metodo – senz’altro da apprendere sempre più ed esprimere sempre meglio – che vorrebbe essere replicabile alle più diverse latitudini e nei più vari contesti e che richiede una forte volontà iniziale di mettersi in ascolto. Il Sinodo è senz’altro un percorso che ha avuto un inizio ed avrà una fine, ma, prendendo in prestito le parole di papa Francesco, probabilmente avrà il merito di avviare processi che potranno mutare il volto della Chiesa e, quindi, della società (ce lo auguriamo fortemente).
Mi piacerebbe immaginare che ci sia un prima e un dopo questi tre anni. Un prima in cui abbiamo sperimentato un certo modo di essere e un dopo in cui il servizio e l’ascolto diventino caratteristiche permanenti delle nostre relazioni in tutti gli ambiti. Vorrei sperare che, pur nella difficoltà di apprendere nuove modalità di portare avanti le cose, non ci lasciamo scoraggiare dal disinteresse di qualche compagno di viaggio, dal pessimismo e dal disincanto di amici, colleghi, persone che nelle nostre comunità ecclesiali, di vita, di lavoro, hanno perso la speranza che le cose possano cambiare. Vorrei credere che l’ascolto profondo di chi ci sta accanto, con cui condividiamo le fatiche quotidiane, che magari soffre più di noi, possa metterci in discussione, riesca a penetrarci, a cambiarci dentro, perché venga fuori qualcosa di più: la luce che ci indica la strada. Mi piacerebbe che il richiamo paolino a “farsi uno”, che vuol dire entrare totalmente nella pelle dell’altro, quel «mettersi di fronte a tutti in posizione di imparare, perché si ha da imparare realmente», come suggeriva Chiara Lubich, costituisse l’impegno costante del nostro vivere e del nostro operare. Vorrei augurarmi tutto ciò e augurarlo ai nostri lettori. Perché la capacità di modificare le nostre idee darà forza alle idee vincenti. E ci cambierà in meglio.