L’arte impegnativa del dialogo
L’affermazione dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo a proposito di Muhammad, registrata da papa Benedetto XVI nella lezione magistrale presso l’Università di Ratisbona, ha innescato un’improvvisa e drammatica tensione nei rapporti tra il mondo cristiano e il mondo islamico. Ci auguriamo vivamente che le inequivocabili precisazioni offerte dal papa stesso nell’Angelus del 17 settembre, così come i chiarimenti contenuti nella dichiarazione del segretario di Stato, card. Tarcisio Bertone, il 16 settembre, aiutino a ritrovare la serenità e riaprano la via maestra del dialogo. L’increscioso episodio, anzi, si può trasformare in un’occasione di riflessione e di approfondimento. Innanzi tutto, occorre sempre aver l’accortezza di collocare quanto si afferma e si comunica riguardo a temi così delicati come quelli che toccano l’identità dei propri interlocutori (anche quando ciò avvenga in modo indiretto) in un adeguato contesto. L’affermazione riportata dal papa nel suo discorso, nel caso in questione, non aveva affatto l’intenzione – come Benedetto XVI ha chiarito – d’esprimere un giudizio negativo. Tutt’altro. Anche se, dal punto di vista della comunicazione, poteva offrire il destro – come di fatto è avvenuto – a un fraintendimento. Il papa, infatti, nell’ambiente accademico dell’Università in cui ha iniziato il suo insegnamento, intendeva svolgere un pacato filo di considerazioni sul rapporto tra un uso della razionalità aperto all’espressione integrale di ciò che è umano e un esercizio dell’esperienza religiosa che, per essere veritiero e fecondo, non può contraddire anch’esso ciò che è umano. È sufficiente, inoltre, leggere quanto ribadito nella dichiarazione del card. Bertone a proposito della inequivocabile opzione del papa in favore del dialogo interreligioso e interculturale, così come quanto espresso con forza e lucidità dal papa stesso nel suo messaggio in occasione del ventesimo anniversario dell’Incontro interreligioso di preghiera per la pace di Assisi, per rendersi conto che la via intrapresa dalla Chiesa cattolica col Concilio Vaticano II, perseguita con tenacia da Paolo VI e Giovanni Paolo II, è fuori discussione. Benedetto XVI vi chiarisce infatti il valore dell’intuizione avuta da Giovanni Paolo II, che ha fatto dell’iniziativa un evento destinato a lasciare il segno nella storia del nostro tempo. Di tutto ciò non s’è tenuto conto nel decifrare e nel comunicare il significato di quanto il papa intendeva dire nel suo intervento di Ratisbona. E non è mancato chi non ha perso l’occasione per attizzare la polemica. Nel quadro di un mondo come il nostro, diventato davvero villaggio globale e per di più segnato da fratture profonde, occorre congiungere sempre, come Benedetto XVI ha sottolineato nella sua prima enciclica Deus caritas est, verità e carità. Dunque, c’è da augurarsi che, in ascolto del soffio dello Spirito, sappiamo insieme trasformare questa crisi nella pedana per un rilancio della strategia, purificata e arricchita, del dialogo tra i popoli, le culture, le religioni. Il dialogo è un’arte impegnativa che esige sincerità del cuore, lucidità nell’intenzione, responsabilità d’esercizio. Non è un semplice optional, né una tattica opportunistica. Come scrive il Vaticano II nel documento sulla divina rivelazione, Dio stesso, nel suo grande amore, parla agli uomini come ad amici e s’intrattiene con essi per invitarli e ammetterli alla comunione con Sé. Il dialogo tra i membri delle diverse religioni diventa perciò illusorio e persino controproducente se non sgorga dal rapporto con Dio e si fa con ciò espressione di vero amore. Pertanto – come ha scritto Benedetto XVI nel messaggio prima ricordato – accanto alla dimensione orizzontale dei rapporti con gli altri uomini, di fondamentale importanza si rivela, in questa materia, la dimensione verticale del rapporto di ciascuno con Dio, nel quale tutto ha il suo fondamento.