L’arte “fantastica” dell’Arcimboldo

Milano dedica una grande mostra al pittore che si formò nel cantiere della cattedrale
arcimboldo

Milano ha inaugurato il 10 febbraio a Palazzo Reale la mostra su Giuseppe Arcimboldo, la prima che la sua città natale dedica a questo grande maestro del XVI secolo. L’evento è organizzato in collaborazione con la National Gallery of Art di Washington, dove è in corso un’esposizione che condivide con quella milanese il nucleo fondamentale delle celebri Teste arcimboldiane.

 

Obiettivo della nuova mostra è quello di restituire Arcimboldo al suo contesto d’origine, per capire le ragioni del successo della sua straordinaria pittura presso le corti europee.  L’arte di Arcimboldo è tutta fatta per stupire, sia che siano ritratti fantastici come le figure allegoriche, realizzate accostando in modo virtuosistico fiori, frutti, ortaggi, ma anche gli oggetti più disparati, in una pittura minuziosa e illusionistica, nata dalle invenzioni leonardesche e nutrita dallo spirito manierista, curioso e divertito, del secondo Cinquecento.

 

Un gusto per il grottesco, per l’eccessivo, per il meraviglioso che ebbe successo breve, salvo poi venire riscoperto agli inizi del Novecento come singolare anticipazione di certe espressioni artistiche delle avanguardie, irrazionali e surreali. Giuseppe Arcimboldo lavorò anche per il Duomo di Milano, in particolare, sono sue alcune vetrate ideate  insieme al padre Biagio fra il 1549 e il 1557, agli inizi, cioè, della sua carriera del pittore.

 

Tra queste la vetrata con le storie di santa Caterina d’Alessandria sul grande finestrone situato sopra la porta laterale del Duomo. Alla santa era già stata dedicata una vetrata a metà del XV secolo, ma gli antelli erano andati dispersi. La Fabbrica del Duomo, così, facendosi interprete di un diffuso culto popolare, volle rimediare affidando la nuova vetrata a un artista di provata esperienza, Biagio Arcimboldo, attivo nel cantiere della cattedrale fin dal 1518, che coinvolse anche il figlio Giuseppe.

 

I disegni degli Arcimboldo vennero probabilmente trasposti in vetro da un maestro vetraio come Corrado de Mochis da Colonia, che seppe mantenere le caratteristiche peculiari dei due pittori milanesi, così affini tra loro – e non solo per sangue – ma anche così diversi nel modo di trattare il disegno e il colore. Biagio si esprime con una narrativa più morbida, dagli accenti ancora luineschi e dai tratti classici e raffinati, seppur “mitigati” da una tavolozza morbida, quasi “vaporosa”. Giuseppe, invece, si riconosce per un disegno nervoso, sicuramente più originale, che trasmette grande vivacità alle figure, anche attraverso l’uso di colori più intensi.

 

Purtroppo tutti gli altri lavori che Giuseppe Arcimboldo realizzò per il Duomo di Milano in quegli anni di febbrile attività sono andati perduti. Si sa che nel 1551 l’artista dipinse una Vergine con la facciata del Duomo presso l’adiacente corte ducale, mentre l’anno successivo eseguì un cartone di tema natalizio, un gonfalone con l’effigie di sant’Ambrogio e un’altra immagine mariana. Nel febbraio del 1554, inoltre, l’Arcimboldo ricevette un pagamento per aver dipinto le ante dell’orfano appena terminato dall’Antegnati. E nei mesi successivi fu impegnato a decorare, sempre per conto della Veneranda Fabbrica, palchi e portici, insegne e apparati scenici in occasione di solennità religiose: un’abilità, questa, che negli anni seguenti sarà particolarmente apprezzata proprio alla corte imperiale.

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