L’arte di piantare (bene) un chiodo
Agili come libellule, le mani di Enzo Mari non stanno mai ferme. Si accompagnano nel loro danzare all’immancabile matita...
Agili come libellule, le mani di Enzo Mari non stanno mai ferme. Si accompagnano nel loro danzare all’immancabile matita, strumento docile che sembra seguire, anzi talvolta anticipare, le rapide improvvise del pensiero e della creatività. Enzo Mari, pensiero e matita, ottant’anni tra qualche mese, è il volto artigiano e schivo del design italiano. Il volto del miglior design italiano, quello che dagli anni Cinquanta agli anni Settanta ha portato in giro per il mondo un’idea di bellezza al servizio della produzione industriale, un design democratico e accessibile a tutti, utile e necessario. Sedie, vasi, tavoli, letti, posate, oggetti d’uso quotidiano che per la loro semplicità, solidità e bellezza hanno saputo resistere all’usura del tempo, destinati a durare. «Come la palla! – ecco l’oggetto che Mari avrebbe sognato di progettare –. Inizi a usarla a un anno, ci giochi fino a novanta, nel corso del tempo ti permette di seguire regole diverse. Non è mai condizionante».
Enzo Mari non è un architetto e non è nemmeno un artista, è un artigiano onesto e intelligente, curioso e libero, che nel suo lavoro ha saputo coniugare tensione estetica e tensione etica. Nessuna idea di miglioramento del mondo può prescindere per Mari da un’idea di bene: un oggetto funziona bene, se lo si produce bene, se è disegnato bene. La dignità del lavoro risiede in quel continuo provare e riprovare, perfezionando la capacità delle mani di cogliere il valore delle forme, il calore dei materiali, la loro plasticità. Un lavoro che apprende dagli insuccessi e dagli esiti imprevisti.
L’ultimo libro di Mari, 25 modi per piantare un chiodo (Mondadori), è un vero e proprio tonificante contro la rassegnazione, la perdita di senso e di dignità del lavoro nel nostro tempo. Si chiude con un ricordo dell’infanzia, quando da bambino voleva comprarsi un bosco e chiese a un contadino quanto potesse costare. La cifra era sorprendentemente bassa: una decina di euro al metro quadro. Allora si illuminò di speranza: poteva comprarsene uno. Mica facile! Un bosco di cento metri quadrati non è un bosco, ci vuole almeno un chilometro quadrato perché possa cominciare a sembrarlo. D’improvviso la somma apparve astronomica, impossibile da raggiungere per un solo individuo. «Non importa – osserva Mari – in fondo, il mio bosco era solo un sogno e, in quanto tale, la versione lillipuziana che ho fatto crescere con le mie mani è stata più che sufficiente per alimentarlo». È questo il segreto del suo lavoro: fare bene le cose, anche le più piccole, e lavorare con immaginazione, coltivando grandi sogni.