L’arte del Pitocchetto
È il pittore della povera gente, della povertà come realtà della vita e della dignità che l’essere poveri tuttavia esprime. Nessun lamento, nessuna stizza e nessun pauperismo degenere. Il suo è il mondo dei mendicanti, dei ragazzi, delle lavandaie, dei vecchi, delle piccole cose di ogni giorno, anche un piatto semplice di verdura, il pasto dei poveri.
Giacomo saprebbe ben dipingere – e lo fa – ritratti di nobili o borghesi in posa, anche affreschi mitologici, e lo fa. Ma la sua vocazione – perché di vocazione si tratta – è quella del proletariato, degli umili, dei lavoratori che non accettano uno sguardo di compassione ma di attenzione.
La galleria di questi personaggi è impressionante. Sono belli, anche se stracciati, infagottati, forse anche sporchi. Sono la gente che non conta, secondo alcuni, ma che per Giacomo è importantissima. C’è qualcosa di francescano, di una spiritualità del lavoro ed anche del non aver nulla ma almeno di possedere la dignità.
Guardo alla Pinacoteca Tosio Martinengo il Ragazzino con la cesta, dai grandi occhi, bello nell’abito marrone e nelle scarpe grosse sulla terra fangosa. Osservo la Lavandaia che si ferma un attimo dal lavoro per venire fotografata. Le mani sono dentro l’acqua della fontana, la strada non è certo pavimentata, ma lei veste di rosa, di celeste e di giallo smorti, il tessuto è consumato ma bello: è come una Madonna del lavoro. La donna, che forse è madre, ha il volto di chi è anche stanco, ma continua a lavorare. Forse morirà di artrite per quel suo stare con le mani in acqua. Giacomo lo sa, e inventa per lei una scenografia teatrale solenne, all’antica. La lavandaia è una eroina popolare, quotidiana, bella della fatica operosa.
E che dire dei Due pitocchi dai vestiti scuciti e a pezzi, uno col gatto e l’altro che ci guarda sorridente?. Non sono nobili, non sono belli, sono due pitocchi che vivono di espedienti. Il pennello di Ceruti li accarezza. La luce li solleva su un piano nobile, li fa persone vere. E vive.
Guardate una tela come La colazione dei pitocchi col vecchio che suona la gironda, il ragazzo che beve d’un fiato, la ragazza bionda sorridente e timida, sul tavolo pane e formaggio: è un concerto musicale degli umili, dagli abiti rifatti, dai colori bassi e con la gioia di una pausa insieme. Altro che i concerti musicali di Longhi e Guardi con gli aristocratici veneziani. Qui l’aristocrazia sta nell’essere poveri e nel sapere accontentarsi dell’essenziale, senza grida.
La bellissima Donna che fa la calza è, fra le molte opere esposte a Brescia, forse la più luminosa. È una madonna del popolo, ricorda l’affresco di Guido Reni al Quirinale con la Madonna che cuce. Ma lì era una bellezza bionda e tenera, qui è una donna provata, col grembiule sporco e bucato, il fazzoletto candido in testa, seduta forse fuori dalla porta di casa. Le mani sono quasi” consacrate” nel lavoro che esegue meccanicamente, pensosa.
Davanti ad una opera del genere si avverte l’eccellenza di una ispirazione che guarda da vicino con infinita tenerezza una umanità povera e ricca di forza morale. Come l’arte del Ceruti (1698 – 1767), pitocchetto per vocazione. Da non perdere, assolutamente
Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo fino al 28/5