L’Arcadia di Filiberti non cede al crepuscolo

Un vasto affresco che seduce il pubblico e lo tiene col fiato sul collo per tre ore è una lotta epica tra Morte e Vita, tra la dimensione di Eros e Poesia attraverso musica, poesia, pittura e coreografie
Il crepuscolo di Arcadia

E’ finita l’Arcadia, zona dell’esistere più che luogo fisico, in cui Amore e Poesia, voci della Bellezza, erano Vita del cosmo intero, uomini natura e cose?

 

Marco Filiberti nel suo “Crepuscolo di Arcadia” – dieci quadri per un’Opera-Mondo con quindici attori -, messo in scena a Città della Pieve al Teatro Comunale degli Avvalorati dal 10 al 12 luglio scorso, se lo chiede. E ce lo chiede, perché questo spettacolo in due atti è un universo di danza, recitazione, musica, cinema, riflessione dialogata che parte dal “Narrami o diva” dell’Iliade omerica, attraversa non a volo d’uccello ma a grandi tappe scavate la storia occidentale e arriva al cosmo stellato leopardiano di fronte al quale due giovani stanno, chiusi al passato e aperti verso nuove frontiere.

 

Filiberti, che è uomo di profonde e vaste cognizioni, rievoca attraverso figure mitiche – gli dei, Pan e i satiri, Venere e Adone – o letterarie- Menalca e Natanaele – la nostalgia per un mondo di Bellezza e di libertà incontaminata, cosciente che il nostro tempo attuale invaso dalla Bruttezza è destinato alla morte.

 

Sotto certi aspetti si potrebbe dire che questo vasto affresco che seduce il pubblico e lo tiene col fiato sul collo per tre ore è una lotta epica tra Morte e Vita, tra la dimensione di Eros e Poesia e la tentazione dell’apocalissi, ma non rivelatrice, bensì distruttrice.

 

Di qui nei dialoghi di letteratura preziosa, citazionista non per sfoggio ma per «rielaborazione affettiva e ricreazione linguistica»: impagabili il Tasso dell’Aminta e della Gerusalemme e Leopardi assieme alle musiche “frammentate” di Mozart, Stravinskij, Wagner, nella dimensione terrorizzante ed onirica di un incendio cosmico (la marcia funebre di Sigfrido come lutto dell’Eroe). Nelle coreografie di corpi parlanti si ritrova la pittura di Reni, Guercino e Poussin e c’è la visione metaforica e pulsante insieme del Crepuscolo di Arcadia e del dolore immenso per questo suo lento morire.

 

Apollo è ferito, Pan deve morire per mezzo di Hermes, Eros è tremante, e l’oggi del tempo attuale è privo di vita vera e di amore. L’Arcadia, terra di mezzo dove regnano armonia e senso, sta anch’essa per scomparire.

 

Una vena dolente e talvolta ineluttabile, un elogio del tempo perduto melanconico trascorrono in quest’opera che vede tutti i registri dell’arte e della vita: dramma, riso, poesia, mito ed edonismo, dialettica, ricerca di senso, glacialità e in un susseguirsi di grandi quadri scenici come una modernissima opera-totale. Dal paganesimo al romanticismo, dalla classicità al barocco, al Nulla attuale, Filiberti sgrana un lavoro, denso di sottotesti, gravido di pensieri e al contempo desideroso di ritrovare l’immensa, liberante gioia di vivere.

 

E forse di un ingresso in quella dimensione del puro spirito che con la visione – memore forse delle incisioni di Dorè del Paradiso dantesco (ma anche di film “visionari”) – di un infinito grondante di stelle sembra avvicinare i due giovani dinnanzi al cosmo al principio di una nuova creazione libera dal sangue e dalla morte.

 

Spettacolo bello e grandioso, terribile e fascinoso. Chiuso nella platea del teatro come entro una crisalide pregna di mistero i cui gemiti e la cui luce Filiberti, ricercatore di Bellezza, vuole sondare, rievocare, trafiggere e rischiarare. (Foto di Mefantasia)

 

Per la seconda edizione de Le vie del teatro in terra di Siena.

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