L’arca russa

Alexander Sokurov è considerato uno dei registi più interessanti dell’ultimo cinema russo e un erede, per certi versi, di Tarkovskij. Dopo aver riflettuto sulla morte e sull’esistenza, ora ripensa alla storia del suo paese, da una prospettiva insolita. È come se ci facesse percepire la realtà non attraverso i sensi, ma nel sogno. Egli stesso è il protagonista, invisibile a noi e agli altri. Ne udiamo solo la voce, dialogante con un singolare accompagnatore, forse Chateaubriand, mentre si aggira per le sale del museo Hermitage di Pietroburgo. Non si trova in compagnia solamente dei quadri, ma anche di numerosi personaggi, alcuni illustri, che provengono dal passato. Eventi caratteristici degli ultimi tre secoli si presentano in maniera vivace, quando si entra e si esce da quelle sale splendide. Si tratta di momenti sociali intensi, evocati da una memoria che sa ricordare le emozioni, elaborandole esteticamente e riducendone al minimo gli aspetti dolorosi. Quasi che delle epoche passate valesse la pena rievocare, soprattutto, l’incanto di certe occasioni: il fascino, il solenne, il glorioso delle rappresentazioni teatrali, delle udienze pacifiche della corte, del ballo sontuoso al suono di un’orchestra imponente. Come acquisizioni di esperienze insuperabili. Alla fine, il lento e sereno fluire delle migliaia di invitati attraverso i corridoi e le scalinate del palazzo, e di noi con loro, comunica l’impressione che si possa continuare a navigare nel mare del tempo ed entrare innumerevoli altre sale stupende, perché “vivremo per sempre”, come afferma l’ultima frase pronunciata dalla voce armoniosa dell’autore stesso. Regia di Alexander Sokurov. Raffaele Demaria

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