… e l’Arca approdò a Candriai
C’era una volta, presso la “Residenza alla Posta” di Candriai, frazione di Sardagna, distante circa otto chilometri da Trento, un cedro secolare. Stendeva la sua ombra accogliente sulla fontanella da cui cercavano ristoro i turisti di passaggio diretti ai magnifici boschi di castagni sulle pendici del Bondone. C’era una volta, purtroppo: sì, perché una notte dello scorso ottobre un ignoto vandalo – o più di uno –, dopo aver forato quel tronco che nel corso della sua lunghissima esistenza aveva resistito a fulmini e a tormente di neve, vi ha versato dentro un liquido corrosivo.
In breve tempo la maestosa conifera si è disseccata, lasciando gli abitanti del luogo scioccati dal gratuito gesto di prodezza. Di tanto verde, in mezzo agli alberi fratelli, figurava ormai solo la struttura scheletrica del tronco e dei rami. Sembrava non rimanesse altro da fare che abbatterla per non causare danni a cose e persone, ciò che sicuramente sarebbe avvenuto in una grande città, dove nella migliore delle ipotesi sarebbe stata sostituita da un altro albero, non è detto della stessa specie. Non così in una comunità montana come quella di Sardagna, dove è fortemente sentita l’alleanza con la natura e dove la presidente di questa Circoscrizione del Comune di Trento, Giulia Degasperi, ha immaginato per il cedro vandalizzato una sorte diversa: una scultura «simbolo di passaggio e di rinascita».
Non per niente il Trentino-Alto Adige è terra di scultori e artisti del legno apprezzati in tutto il mondo. E proprio ad uno di loro, Egidio Petri, tridentino ma attivo a Stedro di Segonzano in Val di Cembra, è toccato in sorte di modellare da quel tronco ormai condannato un’opera che fosse al tempo stesso un vibrante appello a «salvaguardare la biodiversità di uomini, fauna e flora».
Artista noto a livello internazionale, il maestro Petri insegna le tecniche dei vecchi maestri scultori nei corsi promossi da biblioteche, associazioni e varie istituzioni della regione; spesso con alcuni suoi allievi percorre montagne e boschi della sua terra in cerca di qualche tronco di cirmolo o pino cembro per ricavarne uno gnomo, un leprotto o un gallo cedrone da lasciare poi lì in sito, finché dura. «Amo il legno – ha confidato una volta – perché il legno nasce, vive e muore. E voglio che anche i miei lavori nascano vivano e muoiano. Amo le crepe che si formano negli anni perché sono simboli di vita». Sì, il legno che, a differenza della pietra e del marmo, sprigiona un suo profumo resinoso, profumo che sa di vita.
Tornando al cedro di Candriai, per il soggetto l’artista si è ispirato alla biblica storia di Noè, il costruttore dell’Arca che salvò dal diluvio, insieme ai propri familiari, diversi esemplari di animali. Dopo di che, coadiuvato da cinque dei suoi allievi, ha portato a termine l’opera in tempi record.
Oggi quel che resta del tronco – due metri e mezzo di altezza – fa da piedistallo (e da simbolica colonna d’acqua) all’“Arca Alpestre”, anch’essa ricavata dal medesimo albero. Appollaiata sulla prua, un’aquila sembra intenta a scrutare l’orizzonte, mentre a poppa vigila la navigazione una coppia umana a rappresentare Noè e sua moglie. Viaggiano con loro altre coppie: animali tipici della fauna alpina come l’orso, il cervo, il gufo, il camoscio. Non mancano il corvo e la colomba, come vuole il racconto biblico, e perfino due chioccioline. Tutte le creature della navicella, realizzate nell’atelier di Segonzano, sono in pregiato legno di cirmolo.
Soddisfatto, il commento del maestro Petri: «Quest’Arca vuole essere un monito, ma anche un ricordo di quella pianta che non c’è più e del vuoto lasciato che andava riempito: lo abbiamo fatto con una scultura unica nel suo genere, che certamente caratterizza il parco che la ospita».
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