L’Aquila, riscoperta del Natale
Ancora 20 mila gli sfollati e 18 mila i disoccupati. Gravi incognite sul futuro, ma nella precarietà emerge il senso del 25 dicembre.
Sembra che non vada proprio, quest’anno, l’apprezzato torrone Sorelle Nurzia, produzione artigianale aquilana. La polvere ricopre le multicolori confezioni nell’antica vetrina in legno dell’ingresso del Caffé Europa, chiuso dalla tragica notte del 6 aprile. Corso Vittorio Emanuele, che da piazza del Duomo attraversa il centro storico del capoluogo colpito dal sisma, è stato riaperto in settembre. Restano invece chiusi e impolverati i locali di bar e negozi che si susseguono sotto il portico della via centrale.
Gli edifici sono imbracati con tubi di metallo o assi di legno. Il silenzio è rotto da rumori di seghe azionate da carpentieri. Il centro de L’Aquila è uno spazio fantasma. Tutto resta irreale.
Siamo ben lontani da una prima normalità e le attività produttive e commerciali restano fortemente danneggiate. Lo sono andati a ricordare a Roma il 10 dicembre scorso i sindaci della zona mossisi per protestare contro la prospettiva di vedere in scadenza a fine mese la sospensione del pagamento delle tasse per tutto il 2010.
Le persone che hanno perduto il lavoro non intravedono prospettive e l’imminente festività del Natale non aiuta a recuperare sufficiente serenità. Neanche Guido Bertolaso è di migliore umore in questi giorni. Ha dovuto prendere atto, dopo lo sgombero delle tendopoli, che non sarà possibile rispettare la promessa fatta agli sfollati di consegnare una casa a tutti entro la fine dell’anno. Il capo del dipartimento ha tuonato contro amministratori locali e imprese costruttrici che non hanno rispettato i tempi, affermando di dar corso alla procedura di rescissione dei contratti con le ditte inadempienti. Bertolaso sperava di fare un regalo di Natale a 5.500 persone. Potrà sistemarne solo 2.400. Il resto nei mesi successivi.
Restano problemi e lungaggini burocratiche anche per le 10 mila famiglie che avevano chiesto permessi e contributi per ripristinare la propria abitazione. L’emergenza permane. Anzi, si allarga al rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata, come evidenzia l’osservatorio di Legambiente e Libera “Ricostruire pulito”, che punta l’attenzione anche sulla vicenda ad alta redditività della rimozione delle macerie.
Ci siamo. Va già bene!
«Il fatto che ci siamo va già bene», commenta Patrizia Peroni, insegnante di educazione fisica all’istituto tecnico per attività sociali del capoluogo. Insomma, la vita prima di tutto. E lei ce l’ha ancora. La casa, a due passi dal centro, è invece scivolata verso valle. L’aveva acquistata sei mesi prima della scossa micidiale e aveva pagato le prime tre rate di mutuo. Poi è iniziata un’esistenza da pendolare. «Sfollata sul litorale di Giulianova, 81 chilometri lontano, in albergo, a 50 euro al giorno. Siamo in 20 mila sulla costa. Della vita in albergo non ne possiamo più. E ci manca L’Aquila. Mi piace passeggiare in centro, anche se non c’è niente». Culla un sogno: «Perché non fanno anche qui delle case in legno?».
La signora sa bene che i tempi per ritornare nella sua città saranno lunghi. E che «gli addobbi natalizi in albergo sono una vera tristezza». La signora trascorrerà il Natale «rigorosamente a L’Aquila, appoggiandosi agli amici». Poi sussurra: «Continuerà ad essere una giornata di intimità, di ritrovo, anche se mancheranno gli amici cari che sono morti, e cercheremo di fare festa, perché ci siamo».
Il sisma, il dolore, la paura, lo stato di precarietà hanno accresciuto il desiderio di incontrarsi, di stare assieme. La terra continua a tremare – qualche giorno fa ancora un colpetto rispettabile: 3,2 gradi Richter – e la vicinanza del Natale invita a creare occasioni.
Il quartiere San Giacomo, periferia de L’Aquila, non è il centro storico, dov’è la loro casa lesionata. E i coniugi Fusco ben lo sanno. Ma non sono dispiaciuti. «Non era vita in albergo, a Lanciano – riferisce la signora Lidia –. Stavo uscendo di testa». Da fine settembre sono in affitto in questa palazzina con tre appartamenti. «Mi auguro di tornare a casa nostra – interviene Roberto, il marito –, è l’unico bene fatto con tanti sacrifici. Hanno detto entro cinque anni, non ci credo, ma spero lo stesso».
Il Natale trascorrerà con i due figli, la nuora e i due nipoti. All’ingresso troneggia un elaborato presepe. «Da un po’ di anni non lo facevamo. La casa era piccola. Il Natale ci aiuterà a sentirci più vicini e meno sbandati. Vorremmo stare rilassati, ma sarà una rilassatezza apparente, perché non riusciamo a vivere tranquilli».
Onna, 47 bifamiliari
Sino ad aprile era la strada esterna al paese, ora è quella che divide Onna distrutta dal complesso delle 47 abitazioni in legno bifamiliari ad un piano dove sono sistemati i 308 abitanti del luogo più falcidiato dal sisma, con i suoi 41 morti. Vialetti, piante, ordine e pulizia. La signora Dora apre fiduciosa a chi suona alla porta. È soddisfatta della sistemazione. Non immaginava di poter passare la stagione fredda in una casetta tanto confortevole. Il Natale è alle porte e vuole che sia una giornata di serenità con tutta la famiglia.
Nella sua casa, la numero 94, ci offre un vin brulé Luigi Nardecchia Marzolo, pensionato, che abita con la figlia insegnante. «Natale? Ce la sto a mette tutta per viverlo bene. Avevo una casa di 250 metri quadri, adesso sono in una di 50». Lungo sospiro e riprende: «Però nella disgrazia siamo fortunati». Luigi abita proprio di fronte alla nuova chiesetta in legno donata dalla Provincia di Trento, realizzata dai volontari della Val di Sole e inaugurata ad inizio dicembre. È un regalo natalizio apprezzato dalla gente del paese. La giovane signora Tiziana lo conferma.
Sentirsi comunità
Il sisma ha fatto riscoprire l’importanza di luoghi, simboli, tradizioni (i presepi viventi, tra il resto) per sentirsi comunità. Non basta abitare in uno stesso spazio. Tanto che, mentre l’arcivescovo Molinari aveva detto sin dall’inizio: «Prima le case, poi le chiese», adesso da più parti – sinistra compresa, come evidenziato da l’Unità – si reclamano chiese. Non c’è più religione!
In vista del Natale, a fine estate, nelle 140 parrocchie fu assicurata una “casa” per il nascituro Gesù. Alla prova dei fatti, il Vangelo resta attuale: «Non c’era posto per lui». Solo 29 chiese sono state messe in sicurezza per consentire le celebrazioni natalizie, mentre sono sette (su 40 previste) quelle prefabbricate – la prima nella frazione di Cansatessa –, alcune delle quali realizzate nei nuovi quartieri del piano case a Pile, Cese di Preturo, Sant’Elia e Bazzano.
Abitati nuovi di zecca ma che rappresentano una frammentazione e una dispersione di persone, relazioni e consuetudini sociali che impoveriscono la nuova esistenza e ne rendono precario il senso. Da qui, l’esigenza anche di chiese. Altrimenti i disorientati terremotati finiscono per convergere unicamente nei nuovi templi del consumo, in quei “non-luoghi” che sono i centri commerciali (lindi e luminosi come L’Aquilone), i più pronti a mettere su addobbi e insegne natalizie. «Abbiamo bisogno d’altro che di questa mediocrità da baraccone», sentenzia Patrizia Peroni.
Il terremoto qui ha scavato in tutti. Le esigenze profonde, con il trascorrere del tempo da quelle 3,32 della notte del 6 aprile, stanno venendo sempre più alla luce. E il Natale, questo Natale costituisce un momento speciale. Impreziosito da un segno ad inizio dicembre.
Durante i lavori di ristrutturazione della chiesa medievale di san Pietro, a Coppito, frazione de L’Aquila, le lesioni create dal sisma sugli strati d’intonaco hanno permesso di scorgere macchie di colore. Ne è venuto fuori un affresco cinquecentesco: Maria guarda Gesù in fasce tra pastori adoranti. Un augurio imprevisto per i terremotati.
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L’arcivescovo Molinari
Nel cuore la speranza
«Sul piano personale mi sento uno che sta vivendo una seconda vita, perché sono scampato al terremoto per miracolo. Quindi chiederò a Gesù Bambino che mi conservi un animo di bambino e un cuore semplice», confida mons. Giuseppe Molinari, arcivescovo de L’Aquila.
Con che stato d’animo la gente aquilana vivrà un Natale decisamente diverso?
«La nostra gente lo ha già dimostrato: dignità, forza interiore, fedeltà alle proprie radici cristiane e gratitudine per tutti quelli che ci hanno aiutato. Anzi, spesso questa prova ha portato la gente a stare più vicina. Molti me l’hanno detto: il terremoto è stato una grande tragedia, ma ci ha costretti a stare insieme e abbiamo riscoperto il piacere di aprirci agli altri.
«Il Natale è una festa bellissima per tutti, però il cristiano non si ferma al folclore, alla poesia, al sentimentalismo, va alla radice, alla grande verità che Dio è entrato nella nostra storia».
Gli aquilani si aspettano qualcosa di particolare da questo Natale?
«Si augurano un accordo tra tutte le istituzioni perché la ricostruzione avvenga in modo rapido e trasparente, e si provveda al problema del lavoro. Se manca il lavoro, è difficile che la gente raccolga l’invito a rimanere».
Ma per chi ha fede come sarà vissuto questo Natale?
«Che la croce non è l’ultima pagina della storia, ma c’è la risurrezione. Non c’è risposta alla nostra tragedia, ma, come dice Paul Claudel, Gesù non è venuto a spiegarci la croce ma a distendersi sulla croce. Però, accettando Gesù Cristo, uno sa che anche la sofferenza più grande non è senza significato. Ecco perciò che, anche nel contesto della tragedia del terremoto, il Natale porta luce, speranza».
Un episodio consolante?
«Più che un episodio, la tanta, tanta gente incontrata in questi giorni che mi ha detto: “Coraggio! Per me è importante che ci sia la Chiesa, che ci sia il vescovo, che ci siano i sacerdoti”. Me l’hanno detto anche persone che sembravano lontane dalla Chiesa».
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Il sindaco Cialente
Addosso tante preoccupazioni
Che sapore ha questo Natale per gli aquilani?
«C’è la voglia di ritrovarsi, quindi si sta cercando ogni occasione per vivere insieme, anche attorno ai simboli del Natale, come il presepe allestito in centro. Anche nelle famiglie si sta cercando di sistemare un alberello, un piccolo presepe nelle case di fortuna. Allo stesso tempo c’è una grande tristezza, perché le famiglie sono divise, perché abbiamo tuttora un terzo della popolazione, circa 30 mila persone, fuori città. Inoltre si addensano nubi pesanti, perché sino al 31 dicembre non sapremo se viene accordato il rinvio delle tasse. Poi abbiamo 18 mila lavoratori in cassa integrazione. È un Natale non facile, ma è Natale, per cui cercheremo di viverlo nel suo significato di speranza».
Come sindaco cosa augura?
«Auguro che la comunità continui a vivere ciò che sta sperimentando: riscoprirsi molto comunità per superare il dolore».
Con che spirito vivrà il Natale?
«Ho addosso tante preoccupazioni, non so come l’affronterò. Cercherò quel giorno, se possibile, di riunire tutta la famiglia. Quella di mia moglie è numerosa, io ho solo mio padre e mio fratello. Di solito facevamo Natale in una quarantina di persone, ma quest’anno non abbiamo un posto dove stare tutti. Vedremo come fare ma dovrà essere comunque Natale».