L’Aquila, una pastorale per l’emergenza per i “terremoti dell’anima”
Il cardinale de L’Aquila Giuseppe Petrocchi ha mantenuto la parola. Dal 28 settembre, infatti, è stato attivato l’“Ufficio diocesano per la pastorale dell’emergenza”, uno strumento necessario per «captare la sofferenza» che scaturisce da eventi drammatici come il terremoto, per «comprenderla e riconoscerle un significato, integrarla in un progetto esistenziale, renderla una opportunità di crescita globale».
In un territorio che ancora mostra le ferite del sisma devastante del 2009, il cardinale Petrocchi ha spesso evidenziato l’importanza di una vicinanza continua e professionale per «chi ha perso un figlio, i genitori, i parenti, gli amici; chi si è trovato in pericolo di vita; chi ha visto in poco tempo venir meno i parametri della propria sicurezza e s’accorge che il suo futuro è compromesso… ha in sé tensioni e conflittualità che, come un’onda alta, continuano negli anni. Quando un sisma può dirsi concluso, il “terremoto dell’anima” continua e gli sciami problematici che attiva si prolungano nel tempo. Pensate cosa vuol dire perdere i luoghi abituali della vita sociale e i siti identitari di una comunità; cosa significhi trovarsi spostati, in modo improvviso e traumatico, in abitazioni che non sono le proprie, realizzate come strutture provvisorie».
Un dolore profondo e lacerante, acuito dalla lentezza con cui procede la ricostruzione con ancora oltre 23mila immobili non agibili nel cratere e oltre 3.600 fuori dalla zona più colpita, secondo i dati dell’Usrc, l’Ufficio speciale per la ricostruzione dei Comuni del cratere.
L’Ufficio diocesano per la pastorale dell’emergenza, comunque, si propone di coinvolgere l’intera Chiesa aquilana per rispondere come comunità compatta a quello che il cardinale chiama il “terremoto dell’anima”, attivando una «prossimità samaritana» dallo stile evangelico e «sistematizzando le convinzioni e le attitudini maturate nello sforzo di reagire positivamente alla sfida del sisma del 2009, per renderle un patrimonio da mettere a disposizione di altre comunità lacerate da fatti rovinosi».
Ma Petrocchi vuole anche offrire uno strumento alla Conferenza episcopale italiana per affrontare le calamità. Ecco perché, spiega il cardinale, si vuole «avviare e potenziare la collaborazione con la Cei e con suoi “dipartimenti” interessati a trattare, con diversa titolarità, la pastorale dell’emergenza a partire da Caritas Italiana».
In questa prospettiva diventa fondamentale una collaborazione fattiva con le istituzioni e tutte le strutture e gli organismi che operano nelle emergenze, per scambiare e diffondere «strategie capaci di favorire dinamiche sananti e processi migliorativi per la vita delle persone e delle popolazioni». Un’alleanza, dunque, tra i rappresentanti della religione, della cultura, del sociale, delle amministrazioni pubbliche e della politica per affrontare e vincere le sfide rappresentate dalle diverse avversità.
«Ogni calamità che si abbatte su una comunità – afferma Petrocchi –, presenta sempre due versanti: uno esterno, visibile e misurabile; l’altro interiore, perciò, meno percepibile ‘da fuori’ e non immediatamente valutabile. Il primo comprende i guasti materiali e strutturali provocati dalla sciagura, il secondo è connotato dai dissesti spirituali, psicologici e relazionali impressi nell’anima delle persone e delle Comunità».
Le istituzioni civili, per l’arcivescovo de L’Aquila, si dimostrano, in genere, pronte ad affrontare le urgenze primarie della popolazione colpita da un evento avverso, ma non sempre, afferma, «appaiono adeguatamente dotate di ‘recettori’ idonei a captare e assistere le problematiche etiche, emotive e interpersonali che determinano un malessere profondo e provocano comportamenti ‘disturbati’, segnati anche da patologie di vario genere e di progressiva densità».
Il terremoto dell’anima, aggiunge Petrocchi, è un sisma sommerso che può «amplificare criticità già esistenti nella persona o nella comunità, oppure può determinare nuove faglie di problematicità». Per questo motivo è necessario affiancare gli interventi strutturali con una «prossimità samaritana», sistematica e permanente, capace di condividere e offrire aiuto con stile evangelico, mobilitando l’attenzione sui valori umani, autentici ed universali. Ma questa, sottolinea l’arcivescovo, è «un’impresa da condurre al plurale: si fa in comunione e genera comunione».
Il nuovo ufficio prevede la figura di un direttore che sarà affiancato da una religiosa e da un frate minore, medico: una direzione condivisa di un ufficio pastorale, che la diocesi de L’Aquila sperimenterà per la prima volta.