L’Aquila, nostalgia della casa
Nostalgia della “terra promessa”. È questo il sentimento dominante degli sfollati a due mesi e mezzo dal tragico sisma. Vivono nelle tendopoli e negli alberghi, dove la vita, pur con pasti assicurati e servizi di vario genere garantiti, oramai stanca e mette a rischio, seriamente a rischio l’identità di tanti.
Nelle tendopoli, la vita è regolata da una sorta di codice militare, con obbligazioni e vincoli precisi, per mantenere un ordinato svolgimento delle diverse azioni della giornata, a garanzia della sicurezza di tutti. Ma la quotidianità sotto la tenda, spesso in una condizioni di promiscuità, spesso con più nuclei familiari, non è facile da sopportare. L’intimità e la riservatezza sono esigenze disattese, perché le esigenze individuali non sempre si compongono con quelle della vita di una particolare comunità com’è quella degli sfollati. Così sta irrompendo in tanti uno stato di stress che dà luogo a conflittualità interpersonali, anche tra componenti di una stessa famiglia. In taluni casi sono proprio le coppie ad entrare in crisi, per un rapporto troppo diverso da quello consolidato, tanto che si stanno registrando purtroppo casi di separazioni.
Negli alberghi, la vita da sfollati sembrerebbe migliore e non solo per la presenza di maggiori comfort. Certo, vivere sotto un tetto vero e tra quattro mura solide è più rassicurante, ma anche lì la privilegiata condizione sta diventando logorante. Proprio vero: la vacanza è bella quando è breve.
In entrambe le situazioni il ritorno alla normalità è l’aspettativa di tutti. La maggiore preoccupazione riguarda i ragazzi che possono “abituarsi” così tanto alla condizione di sfollati, quasi da considerare normale quel tipo di esistenza. La nostra cultura di abruzzesi, per quanto comprenda l’idea di comunità, si fonda prioritariamente sulla vita di famiglia, autonomamente regolata e condivisa all’interno. Nelle tende e negli alberghi, invece, le condotte sono ordinate da autorità esterne, la libertà individuale è in parte limitata, anche se compensata dall’offerta di beni e servizi.
La condizione da sfollati rimanda a quella dell’esilio biblico, abitanti in terra straniera, dove le cetre sono appese ai salici e non vi sono parole di canto. Nel cuore della nostra gente terremotata cresce la nostalgia della propria casa, e il desiderio di arrivare nella “terra promessa”. Così, si leva alta la voce che rivendica il mantenimento degli impegni (dei politici), per ritornare (il più presto possibile) nel proprio ambiente abituale. I loro paesi, le loro case, la vita di un tempo.