L’Aquila ancora al palo
Mille giorni e non vedere segnali di resurrezione. Sono passati tre anni da quella notte del 6 aprile 2009 quando il sisma dispiegò la sua mortifera potenza alle 3,32, mietendo 308 vite, ferendo 1.600 persone e procurando danni per oltre 10 miliardi. Mille giorni dopo e tutta l’ampia zona del centro storico è ancora inanimata, con i palazzi ingabbiati e le vetrine polverose dei negozi serrati sotto i portici di corso Federico II. Anche piazza Duomo, cuore straziato della città, non palpita. Il fatto poi che il terzo anniversario della tragedia cada il Venerdì Santo sembra il sigillo sul collettivo, impotente dolore.
«Non me l’aspettavo così», ha commentato il presidente Monti, visitando per la prima volta il capoluogo abruzzese lo scorso 16 marzo, costatando la lentezza della ricostruzione. Purtroppo, c’è ancora un centro storico fantasma, in cui qualche piccolo esercizio, un bar, una cartoleria, un pub sono stati coraggiosamente riaperti ai piedi di edifici non agibili o di palazzi puntellati.
Furono 67 mila gli sfollati all’indomani della catastrofe e ancora oggi oltre 33.600 persone vivono fuori casa, mentre è stato rimosso solo il 38 per cento delle macerie.
Ricostruire L’Aquila come prima o crearne una nuova? Dove reperire le ingenti risorse per il grande progetto o invece collegare il recupero all’effettiva sostenibilità del futuro economico e finanziario della città? Divisi tra queste domande, lacerati tra le ricche promesse di Roma e gli scarsi mezzi effettivamente giunti, gli organi preposti a ridare vita alla città si sono reciprocamente ostacolati sino alla paralisi.
Con chiunque si parli per le vie dell’Aquila emerge disorientamento e sfiducia. Chi ha più di 60 anni vede sempre più lontano il possibile rientro a casa. È una sorta di resa alla vita, e in effetti si celebrano più funerali del recente passato, mentre è schizzato alle stelle il consumo di alcolici, anche tra i giovani. È davvero difficile sperare davanti ai due grandi problemi: mancanza di lavoro (nove mila posti svaniti) e disgregazione sociale.
Le conseguenze sono pesanti: «Cresce il numero di famiglie cadute in povertà – ci spiega Paolo Montesanti, direttore della locale Caritas diocesana –, sono quelle di artigiani, piccoli commercianti, dipendenti del settore privato. Altro fenomeno, l’esodo: professionisti, dirigenti, docenti universitari sono andati altrove, provocando una grave perdita del capitale sociale e professionale».
Chi ha responsabilità dirette di tutto il non-fatto in questi tre anni? Si dovrà appurare anche questo. E un primo contributo alla chiarezza è arrivato al Forum “Abruzzo verso il 2030”, svoltosi alla presenza del capo del governo nella sede dei laboratori di fisica nucleare del Gran Sasso. Un documento dell’Ocse, organismo che raggruppa i 34 Paesi più sviluppati, ha esaminato la gestione successiva al sisma. Risultati? «Mancanza di allineamento e coordinamento tra i diversi livelli dell’amministrazione pubblica», «processi decisionali particolarmente frammentati», da cui si deduce «l’assenza di una gestione coordinata» che non è «riuscita a sviluppare e a promuovere chiari obbiettivi, finalità forti e strategie realistiche». Inoltre, «gli aiuti e i processi di ripresa sono stati troppo complessi e opachi», mentre «l’assenza di un sistema chiaro di comunicazione ha contribuito al venir meno della fiducia della società civile e a diffondere una cultura d’inerzia, sospetto e scarico di responsabilità». Ne risulta un quadro fosco e umiliante per la classe politica e per il Paese. Se ne dovrà tenere conto in tutte le sedi.
L’arrivo del premier Monti, inaspettato, è stato vissuto come un’incoraggiante novità, preceduta dalle due visite del ministro della Coesione territoriale, Barca, dopo una lunga assenza di un rappresentante governativo. Per la prima volta è stato comunicato un rendiconto delle spese sostenute, pari a 2,6 miliardi di euro. Un apprezzato segnale di chiarezza e trasparenza che ha risollevato un po’ il morale collettivo. Mentre la campagna elettorale in corso per le amministrative di maggio non sembra essere di conforto: dieci candidati sindaco per L’Aquila (compreso l’attuale, Cialente), ognuno con la sua ricetta per la ricostruzione, emblema di una città frammentata e incapace di giungere a sintesi politica.
Meno male che, nel frattempo, Monti ha firmato una prima ordinanza sulla ricostruzione, con un impegno di spesa di 187,5 milioni; prevista pure la scomparsa della farraginosa Struttura per la gestione dell’emergenza e dei due vice commissari. Il documento dell’Ocse parlava chiaro. Conseguenti i provvedimenti. All’insegna del “meglio tardi che mai”.