L’appello dei premi Nobel per la pace
Mentre in decine di città di 156 Paesi i giovani di Friday for Future manifestavano a favore di una decisa azione dei governi per frenare i cambiamenti climatici, nella città messicana di Mérida dal 17° summit dei Nobel della pace durante il fine settimana venivano lanciati vari appelli per pacificare il mondo.
All’evento hanno partecipato figure che hanno ricevuto personalmente il prestigioso riconoscimento, come il polacco Lech Walesa, la guatemalteca Rigoberta Menchú, la liberiana Leymah Gbowee, ex presidenti come il sudafricano Frederik de Klerk ed il colombiano Juan Manuel Santos o l’ex premier nordirlandese David Trimble, ed anche l’indiano Kailash Satyarthi, l’iraniana Shirin Ebadi, la yemenita Tawakkol Karman, nonché rappresentanti di una quindicina di organizzazioni premiate per il loro lavoro al servizio della pace.
Guidati dallo slogan “Lascia la tua orma per la pace”, gli interventi nelle varie sessioni tematiche hanno presentato problematiche, ma anche azioni che hanno contribuito a rendere più vivibile il mondo. L’ex presidente colombiano, Juan Manuel Santos, ha messo in luce il rapporto tra l’istruzione e le opportunità di uscire dalla povertà. «È aberrante l’alta concentrazione della ricchezza», ha segnalato. Seguendo i consigli del Nobel per l’economia, Amartya Sen, uno dei maggiori esperti in fatto di povertà, in Colombia si è cominciato a misurare il livello di povertà a partire da ben 45 indicatori della qualità di vita e non solo dal reddito. «E ciò ci ha aiutato ad alimentare i negoziati di pace (con la ex guerriglia delle Farc, NdR), perché la casa, la mancanza di istruzione, di sanità sono il brodo di coltivazione della violenza».
Kailash Satyarthi ha fatto eco alle sue parole, segnalando che 260 milioni di bambini nel mondo sono fuori dal sistema educativo. Basterebbero 22 miliardi di dollari per garantire loro una scuola. Gli sforzi per ottenere la pace –ha aggiunto- saranno inutili «se il frutto dello sviluppo non arriva ai settori sociali più bassi, principalmente ai bambini», dato che 50 milioni di minori non hanno dove dormire, 150 milioni lavorano per i ricchi e 428 vivono nella povertà.
Di fronte a questi dati, la decisione di destinare importanti risorse all’acquisto di armi è scandalosa. La statunitense Jody Williams, premiata col Nobel nel 1997 per la sua lotta contro le mine antiuomo, ha criticato la spesa militare del suo Paese, oggi superiore ai 600 miliardi di dollari annuali. «La quantità di denaro destinata alle armi è una oscenità», ha sostenuto l’attivista.
Non solo si spende in armi, ma in armi nucleari. Frederik de Klerk ha ricordato che le armi atomiche sono ancora una delle principali minacce e che non è visibile un impegno politico per eliminarle ed ha fatto presente gli esempi in controtendenza di Sudafrica, Ucraina e Kazakistan.
I sentieri per costruire la pace sono numerosi. Vanno dal rispetto e dalla salvaguardia dei diritti umani alla protezione delle donne ancora oggetto di violenza. Tawakkol Karman, insignita del premio Nobel nel 2011, ha insistito sulla necessità di dar voce alle donne: «Non tacerò, continuerò a far rumore». «I popoli non hanno differenze tra di loro – sostiene da parte sua Shirin Ebadi, attivista nel campo dei diritti umani e la democrazia –. La causa di fondo sono i dittatori». Per Leymah Gbowee appare un clima di apatia e di razzismo, gente con paura che votano per il discorso populista: «Abbiamo creato mostri».
Ma la pace è oggi è minacciata anche dallo spettro della catastrofe climatica. Per questo il summit intero si è sintonizzato con i giovani partecipando alla manifestazione organizzata da Friday for Future in questa città coloniale. «Il cambiamento climatico è una certezza – ha affermato Juan Manuel Santos – ed è la maggiore minaccia per la pace mondiale e la vita dell’umanità». C’è ancora molto da fare per la pace. Ma queste figure danno testimonianza che è possibile farlo.