Lapidarium: dalla parte dei vinti
«Circondato da folto stuolo di magnati occupava il doge la loggia marmorea, che nella facciata del tempio sovrasta al vestibolo, e tutta dall’alto la sottoposta piazza prospetta, là dove si veggono i quattro dorati cavalli di bronzo, a cui l’antico ignoto artefice dette tal sembianza di vita che quasi ti pare udirne lo scalpitare e il nitrito […]». Così, l’aretino Francesco Petrarca ospite della Repubblica di Venezia, descriveva in una delle sue epistole “Seniles” i “Cavalli di San Marco”, il gruppo scultoreo in lega di bronzo trafugato dal doge Enrico Dandolo da Costantinopoli, saccheggiata e posta sotto assedio nel 1203, durante la sciagurata IV Crociata.
Non era la prima volta che quella quadriga attraversava le acque del Mar Mediterraneo come trofeo di un popolo regnante: intorno alla metà del 400, infatti, era giunta nel Corno D’Oro dall’isola di Chios, al tempo dell’imperatore Teodosio II.
Una cinquantina di anni dopo la loro razzia e l’arrivo a Venezia, i quattro cavalli bronzei furono installati sulla terrazza della facciata della Basilica di San Marco, dove Petrarca poté ammirarli, durante i festeggiamenti per la vittoria dei veneziani sui ribelli di Creta, nel giugno del 1364. I quattro destrieri riposarono lassù per altri 500 anni, fino a quando Napoleone Bonaparte, nel 1797, non li fece rimuovere e trasportare fino a Parigi, dove finirono per decorare la sommità dell’arco di Trionfo del Carrousel. Con la Restaurazione, i cavalli ritornarono a Venezia, e furono ricollocati sulla terrazza della facciata di San Marco, dove rimasero fino agli anni Settanta del Novecento.
È a questo punto che la loro storia incrocia quella dello scultore messicano Gustavo Aceves. Dopo un lungo restauro che li aveva ripuliti dai danni dello smog e della salsedine, si giunse alla decisione di musealizzare la quadriga, per difenderla dalle intemperie. Ma prima delle loro collocazione definitiva nel Museo di San Marco, quegli antichissimi cavalli bronzei furono esposti in alcune delle più grandi città del mondo. L’artista messicano, appena ventenne, ebbe modo di ammirarli nella sua Città del Messico, restandone folgorato. Da quell’incontro, in Aceves nacque l’idea di dare vita ad un’opera che potesse ripercorrere fisicamente lo stesso itinerario fatto dalla “Quadriga di San Marco”, icona di ogni popolo vinto. Così, nacque “Lapidarium”, un’opera fatta di frammenti, come nei classici lapidari museali dove sono conservate le parti di opere antiche giunte fino a noi. Protagonista di questo lapidarium è il cavallo, animale che di per sé evoca il movimento, il viaggio, la migrazione.
“Lapidarium: dalla parte dei vinti” è una delle tappe del progetto itinerante e sempre in evoluzione di Aceves, cominciato nel 2014. Il centro storico di Arezzo (Sagrato di San Francesco, Sala Sant’Ignazio, Sagrato del Duomo, Piazza Vasari, Fortezza Medicea) fa da cornice a circa 200 opere realizzate con materiali diversi: bronzo, pietra, resina, legno.
Così, il viaggio dei cavalli di Gustavo Aceves vuole raccontare il viaggio di tutti i popoli migranti, realtà che caratterizza ciclicamente la storia dell’umanità.
I suoi cavalli itineranti sono mutilati, scheletrici, sopravvissuti: una sorta di monumento equestre inverso, dedicato non ai vincitori ma ai vinti, agli antieroi di ieri, di oggi, di sempre.
Chissà, cosa avrebbe scritto di loro l’aretino Francesco Petrarca?