L’antimafia che non convince la piazza
A Roma, una manifestazione del Pd, davanti alla chiesa dove si sono tenuti i funerali di Vittorio Casamonica, ha raccolto contestazioni e pochi plausi. La legalità ha bisogno di molto altro
La gente del quartiere Tuscolano osserva dalle finestre di casa, davanti ai bar o sulle panchine della piazza l’arrivo alla spicciolata di tesserati di partito, politici e cronisti che a breve parteciperanno alla manifestazione che il Pd romano ha indetto sui luoghi che il funerale di Vittorio Casamonica ha trasformato in triste set di potere criminale. Piazza san Giovanni Bosco è circondata dalla polizia in tenuta antisommossa che segue vigile lo sfogo dei contestatori: movimenti per la casa, circolo degli artisti, dipendenti Atac.
I manifesti fotografano la rabbia e la disillusione. Campeggia quello con la foto a colori che vede seduti a pochi tavoli da Luciano Casamonica, altro sodale del clan, l’ex sindaco di Roma, l’ex amministratore dell’Ama, il ministro Poletti e l’ex assessore per la casa Ozzimo. E poi ci sono quelli dei nostalgici del comunismo e quelli irriverenti. La rabbia invece è traversale. «Andate a casa»; «Promettete, promettete e poi rubate»; «Vergognatevi!».
Arrivano alla spicciolata i membri della giunta, i presidenti degli altri municipi, l’onorevole Fassina e la presidente della commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi. Lo fanno senza particolari orpelli, defilati. Tanti i crocicchi dei delusi. Un consigliere del municipio mi fa notare gli affiliati a Ozzimo e quelli legati ad altri consiglieri su cui l’inchiesta di "Mafia capitale" sta producendo documenti e prove in vista del processo del 5 novembre.
Sul palco troneggia la scritta “Antimafia capitale” e gli altoparlanti trasmettono male gli interventi dei relatori, ma ascoltano i pochi delle prime file, perché le altre centinaia di persone assiepate attorno si occupano di altro: saluti, racconti delle vacanze, preoccupazioni per i figli e ancora contestazioni. Le bandiere si sprecano, ma le parole non convincono e non scaldano gli animi: gli applausi sono timidi. Ci sono i sostenitori di Marino che lo incoraggiano, ma il sindaco non riesce a stare in mezzo ai suoi cittadini, come sarebbe suo desiderio, perché guardie del corpo e polizia gli proibiscono di uscire dalle transenne per problemi di sicurezza.
Ricostruire legalità nella Capitale richiede più di questa manifestazione un po’ improvvisata e in tanti ne sono consapevoli. Il solco tra la politica e la gente qui è sempre più profondo perché non riesce a misurarsi con le necessità reali. «Il Tuscolano non aveva bisogno di una prova di presenza radical chic. Questi so' romani importati da altri quartieri». Luigi non è tenero e continua: «I Casamonica da sempre sono morti o si sono sposati in questa chiesa e in maniera teatrale. Nessuno se ne è mai scandalizzato. Ora la differenza l’ha fatta l’elicottero?».
Quello della polizia che sorvola le nostre teste è acclamato al grido di «rose, rose!». La signora Silvana vive da quarantacinque anni su questa piazza e più che cortei chiede pulizia, servizi che funzionino, prevenzione dell’accattonaggio e dei piccoli furti. È venuta in piazza ad ascoltare e rimbrotta severa chi grida per contestare e basta, vuole che la manifestazione abbia il suo esito anche se sa che tra qualche ora i cassonetti torneranno strapieni e i Casamonica continueranno i loro affari.
L’assessore alla Cultura spiega che il sindaco ha annullato tante gare d’appalto compromesse e che richiederà tempo l’assegnazione ad aziende legali, ma la spiegazione non basta e non convince tutti. Serve manifestare? Sì. Serve che l’attenzione non cali? Sì. Il metodo non si è rivelato tra i più efficaci. Le mafie, come si è visto, riescono ad essere pervasive e usano metodi molto più convincenti, dal danaro all’intimidazione. La forza disarmata del bene non può permettersi di essere meno efficace: la parola va data a chi costruisce, alla vera società civile che dai tanti no detti non può continuare ad uscirne sconfitta o silente soprattutto dentro le cabine elettorali che spesso premiano affiliati e amici perché «loro la casa me la danno e me fanno lavorà mi figlio». Giulio non vuol sentire altre ragioni e questi fatti sono più persuasivi di qualunque palco.