L’Andreana, il ritorno di Marino Moretti
I romanzi di Marino Moretti pubblicati dalla Mondadori, molto letti dai lettori italiani e francesi, avevano portato lustro alla famosa editrice milanese che, nel panorama culturale nuovo del dopoguerra, doveva combattere nuove sfide per non arretrare. E Moretti, pur sempre considerato fra i più significativi autori, sembrava non rispondere più alle aspettative e alle richieste della nuova leva di lettori. Con la pubblicazione del Meridiano, che la Mondadori volle dedicargli, pubblicato proprio mentre Moretti ci lasciava nel 1979, si chiudeva una pagina della nostra storia letteraria.
Ma la vera letteratura, come ogni vera arte, non subisce i tramonti delle mode; e possiede in sé la forza dirompente che travalica tempi e spazi, per parlare all’intimo dell’uomo, pur nel cambiamento di stagioni e di epoche.
Se ne accorge oggi la casa editrice Bompiani che, nel sodalizio con la Giunti, pur guardando in avanti sembra non voler stingere l’orma del passato; e crea la collana dei “Classici contemporanei”, dove trova spazio anche il dimenticato Marino Moretti con uno dei suoi romanzi più famosi, L’Andreana – da cui fu tratto lo sceneggiato televisivo di Leonardo Cortese con Ilaria Occhini e Gastone Moschin, che ebbe grande popolarità.
Se guardiamo con attenzione critica l’intera opera Marino Moretti troviamo sì la più famosa poesia crepuscolare e l’ultimo suo bagliore poetico di sorprendente aggancio alla realtà; senza però trascurare i suoi romanzi di grande suggestione, nonché ricchi di acuta e incisiva introspezione psicologica, che anticipava la dimensione di tanta letteratura contemporanea. Eccelle tra questi per dignità narrativa e per scavo psicologico dei personaggi L’Andreana, un romanzo destinato a trovare ancora oggi lettori, senza per questo dimenticare I puri di Cuore, La Vedova Fioravanti, Il Libro dei sorprendeti venti anni, La camera degli sposi e Tutte le novelle.
L’Andreana fu pubblicato per la prima volta nel 1932, e ripreso più volte dall’autore fino all’ultima versione, sempre per la Mondadori, del 1961; che la Bompiani ci presenta oggi con in copertina una delicata e ariosa immagine delle spiagge romagnole, corredata da un’introduzione di Cristiano Cavina e nota al testo di Manuela Ricci.
Senz’ombra di dubbio possiamo affermare che nella vicenda dell’Andreana troviamo un Marino Moretti in stato di grazia; con l’animo acceso da una fiamma antica che lo porta a celebrare, come pochi, le radici sulfuree e scarmigliate della sua terra, i costumi e i sentimenti di gente votata al lavoro del mare, in una commistione di linguaggi icastici e polverosi, vividi, e con immagini tratteggiate con inquieta passione e ironia mordace.
Emergono in maniera percettibile i temperamenti dei pescatori della costiera adriatica di Cesenatico, legati a doppio filo alle brume di Chioggia o di Comacchio, in una sinfonia lessicale dove il vernacolo spruzza sul lettore colore e odori. Si annusa quasi il tanfo marcio degli scolatoi, dei barconi fatiscenti e s’ode la lingua scuoiata e sanguinante di quegli uomini impastati di acqua e sale e di amarezza stemperata nei bagliori di luce della costa romagnola.
Un romanzo atipico, originalissimo; che fin dalle prime battute presenta, senza sconti prudenziali, l’asperità della trama coniugato ad un lessico scorticante, che sorprende il lettore attento; il quale intuisce subito di trovarsi in campo nuovo e inesplorato, dove la parola, i gesti e gli accadimenti disegnano con perizia l’umana e sofferta indole di un tempo andato, ma la cui veridicità tocca ancora l’animo di chi osa avventurarvisi.
Non teme Moretti il turbamento di chi legge, perché sa per esperienza prolungata che quando l’ispirazione afferra la penna, lo scrittore è capace di mostrare lacci e nodi con perizia e non teme di scivolare tra parole gridate o stropicciate nel bisbiglio, in una mescolanza che illumina la pagine con la stessa forza della vita.
In questo senso l’Andreana, in quel tremolio della parola, originalissimo, che s’accende di bagliori, di ardite visioni, di amare delusioni, di speranza mai abbandonata, riporta all’esistenza un mondo carnale e sofferente che sembra ormai scomparso, ma di cui l’orma sanguigna continua a permeare i tessuti sociali contemporanei.
Il tempo, sembra dirci Moretti, non annienta ciò che è stato sofferto e amato, ma assorbe e mescola sempre l’antico e il nuovo in una poltiglia che feconda il divenire della storia presente.
Nulla si perde nella vita della protagonista, l’Andreana appunto, ma tutto si trasforma, e anche la morte disdegna il nero cupo e tenebroso e si colora di quel rosso che dice sangue e vita mai arresa.
Di qui l’ardimento di vicende impietose che fuoriescono dalla bruma provinciale nella quale potrebbero perdersi, per assurgere con diritto a prova tangibile di vera arte letteraria, non più condizionata ma condizionante.
C’è inoltre nella scrittura di Moretti una forza poetica che sottolinea il mai taciuto tepore della vita, il desiderio innato di una rinascita, l’acquisita certezza di una persistente marea che lascia intravedere in quel moto, tra alta e la bassa, l’annegamento di ogni male, nella promessa del bene.
Moretti è in fondo un sovversivo dell’arte letteraria, perché non teme la fedeltà all’ispirazione; e si lancia al di fuori di mode o di correnti, e in questo diventa modello e testimonianza viva per gli scrittori di oggi.
Ma c’è un di più che lo fa molto vicino a noi figli del secondo millennio, e che appare in tutta la sua forza in questo romanzo: il considerare con arditezza il valore della donna nella società.
L’Andreana resta un monumento alla donna come pochi hanno osato esprimere nel passato. Il fatto stesso che egli lo ha maneggiato più volte fino all’ultima stesura dice tutta la sua trepidazione per un’opera da cui non ha saputo staccarsi facilmente, in quanto intravedeva in questa storia la fermentazione piena della sua stessa esistenza.
Un’esistenza dura, a tratti acerba a tratti ardimentosa, intima e sofferta, che nonostante le battute di arresto e le picconate subite, ha saputo resistere e rinascere con sempre nuovi germogli, grazie anche alla presenza di donne forti accanto a lui. Non è senza significato il fatto che nella prima edizione egli volle dedicare il libro alla sua amica traduttrice, Juliette Bertrand che, intuendo il valore dell’arte narrativa di Moretti, l’ha fatta conoscere e amare ai francesi.
L’Andreana è madre, ma anche padre, il femminile e il maschile sono in lei fusi in una mescolanza che è propria delle donne che non cercano nel partner un appoggio per non crollare, tipica delle mogli di marinai e di naviganti, che sanno resistere da sole anche alle tempeste e alla morte, per affermare con coraggio che la vita sovrasta le amarezze, le angustie e le violenze per risplendere nell’intimità di una coscienza mai arresa, ma vigile e intrepida: colonna portante nella vita di una famiglia al pari dell’uomo.
E in questa chiave di lettura, Moretti ci appare ne L’Andreana in tutta la sua potente forza narrativa, dove ogni languore si sbriciola, ogni esitazione si trasforma in sorriso, ora ironico ora radioso, preludio di quella poesia teneramente ironica che egli ci darà nelle sue ultime prove.
Emerge la possanza della donna, nella dischiusa e vivida “fraternità” spesso disattesa delle «umani genti», ma mai lontana dalla speranza.
L’Andreana diventa in tal modo emblema del coraggio che non si lascia trafiggere dalla cruda realtà, nella certezza che c’è un tempo per ogni cosa, e spetta solo a noi chiudere quel cerchio nuovo che sempre si apre davanti all’incertezza del futuro.
Grande conoscitore dell’animo umano, Marino Moretti non esita a discendere lì dove c’è il percolo di annegare, penetra in quel pulviscolo antropologico della sua terra e graffia con sapienza la sfacciataggine, l’arguzia malevole, la supponenza boriosa, la tignosa vigliaccheria, per riportare a galla l’unica verità che nessuno potrà mai negare: si può morire tra sberleffi e vituperi ma se nell’anima profonda si accetta il dolore della perdita totale, ecco riapparire quel pizzico di luce capace di rischiarare il futuro.
Marino Moretti ne L’Andreana è tutto queste e forse ancora di più. Non senza motivo scrittori come Michele Prisco, Gino Montesanto, Dante Arfelli e Mario Pomilio lo consideravano un “maestro”.
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