L’amore sospetto

Quando Marc un giorno decide di tagliarsi i baffi tutto si aspetterebbe tranne che nessuno si accorga di niente: né la moglie, né gli amici, né i colleghi. Anzi, tutti negano che abbia mai portato i baffi. Uno scherzo ben orchestrato o una sorta di follia collettiva? E chi sarebbe il pazzo: lui che rovista tra la spazzatura per recuperare quel che resta dei suoi baffi e che continua a guardarsi nelle foto che lo ritraggono incontrovertibilmente baffuto o il resto del mondo che si ostina a negare quella che in apparenza sembra la più elementare delle verità? La storia inizia come una commedia dell’assurdo, a metà tra Beckett e Ionesco, assume poi i contorni di un thriller psico-esistenziale, per poi concludersi in un lungo epilogo a Hong Kong dove termina l’inutile fuga da sé stesso di Marc. L’amore sospetto (assurdo titolo italiano, l’originale francese è un più diretto ed efficace La moustache) è un film per certi versi novecentesco, coraggioso nel tentare lo stravolgimento dei canoni narrativi e proporre una visione straniante della realtà. Lo spettatore rimane spiazzato perché ingannato dalla prospettiva con cui osserva le vicende, che è quella del protagonista, e il regista è bravo a non cedere alla tentazione di disseminare indizi utili a svelare il mistero. Che alla fine non viene risolto poi del tutto, in un finale che ricorda molto quello di C’era una volta in America e che lascia la porta aperta alle più classiche delle interpretazioni alternative: sogno o realtà? Nel film non mancano momenti intensi, come l’andirivieni ossessivo sui traghetti di Hong Kong. Gli attori sono straordinari nel dar corpo e sostanza ai tormentati personaggi della vicenda e l’attenzione ai dettagli degli interni spesso ripresi in primo piano sembrano quasi evidenziare i caratteri dei protagonisti. Tutto questo 67 Città nuova • n.15/16 • 2006 ARTE E SPETTACOLO contribuisce a evitare il ridicolo che altri registi avrebbero sicuramente rischiato affrontando una storia come questa. Ma se alla fine rimane la sensazione di un lavoro incompiuto è forse perché Emmanuel Carrère non è né Resnais né Antonioni, e seppur non difetti di un certo rigore stilistico, gli manca lo spessore e la forza visionaria per fare di questo film un capolavoro. Regia di Emmanuel Carrère; con Vincent Lindon, Emmanuelle Devos, Hippolyte Girardot, Mathieu Amalric.

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