L’amore di Dio, l’amore per Dio
¦ Parlerò dell’agape, così come è compresa e vissuta da noi cristiani. Per questo è necessario partire da un’espressione presente nelle nostre Sacre Scritture e che costituisce per noi l’apice della rivelazione su Dio: Dio è amore (1 Gv 4, 8.16). L’evangelista Giovanni ci ha trasmesso tale rivelazione dopo lunghi anni di meditazione e di preghiera. Dobbiamo cercare di capire il vero pensiero di Giovanni per arrivare ad una comprensione del cristianesimo autentica. Di fatto, il termine amore, agape, non deve essere qui inteso nel senso che comunemente diamo ad esso. Nell’uso corrente questo vocabolo ha infatti perduto il primitivo significato che ebbe nel linguaggio cristiano, quando i discepoli di Gesù, e in particolare Paolo e Giovanni, lo adottarono dal greco del tempo, ma per conferirgli un significato del tutto particolare e preciso. Nel cristianesimo primitivo l’agape assurge ad altezze incomparabili, esprimendo una ricchezza fino ad allora sconosciuta. Essa sì innalza infatti ad indicare un’attività vitale e permanente dell’uomo che supera il limite del temporale e del finito, tanto da poter dire che non è più l’uomo a vivere e ad operare, bensì l’agape in lui. In certo senso, si può dire allora che Paolo e Giovanni crearono la parola agape, anche se, già nel linguaggio del Primo Testamento, questo termine era usato per parlare dell’amore sia in senso sacro che profano. Il termine agape, infatti, stava spesso ad indicare l’amore reciproco dello sposo e della sposa, con le sue caratteristiche di potenza e di eternità, di fedeltà e dì abbandono, fino ad esprimere talvolta l’intima relazione d’amore fra Dio e l’uomo. Cosa significava il termine agape per Paolo e Giovanni? Significava una concezione della vita. L’amore-agape, infatti, è qualcosa che, congiungendosi armoniosamente con le tendenze e le aspirazioni più autentiche dell’uomo, lo rende dinamicamente attivo e proiettato verso gli altri. In tal modo, l’amore si manifesta costitutivo dell’intera esistenza umana, in quanto principio intrinseco di vita nuova. Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità – scrive l’apostolo Paolo nella Prima lettera ai Corinti -, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna (1 Cor 13,1). L’amore-agape, secondo la concezione cristiana, non è quindi semplicemente un atteggiamento esteriore, né soltanto un’attitudine morale, ma è piuttosto una realtà che investe e afferra tutto l’uomo, per cui Paolo può dire ancora: Se non avessi la carità, sono nulla (cf. 1 Cor 13, 2), a significare che se l’uomo non ama è come inesistente. Ma se l’amore così inteso tocca l’essere stesso della creatura, è perché esso partecipa in certo modo di quell’agape-essere che è Dio nella rivelazione cristiana, ed è perciò capace di generare un contatto profondo con lui. Amiamoci gli uni gli altri – scrive Giovanni -, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore (1 Gv 4, 7-8). Dunque, Dio è amore non vuoi dire che Dio possiede l’amore: con quella e s p re s s i o n e , Giovanni ci ha rivelato chiaramente qual è l’intima natura dell’essere di Dio: l’essere suo è amore. Per penetrare nell’infinito mistero racchiuso in tali parole occorre avvicinarsi ad esse con animo trepidante e col cuore e la mente puri. Allora ci inonderà la luce divina che quelle parole contengono, luce che è al tempo stesso amore e essere, che è al tempo stesso vita e sapienza. L’amore a Dio È convinzione di noi cristiani che si penetra nel mistero di Dio, che è amore, nella misura in cui anche noi amiamo. Lo attesta ancora l’apostolo Giovanni che scrive: Chi non ama non ha conosciuto Dio (1 Gv 4, 8). Amare, dunque, e innanzitutto Dio. Amarlo come ci insegna Gesù che, alla domanda rivoltagli: Qual è il più grande dei comandamenti? , risponde: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti (Mt 22, 37-38). Cerchiamo allora di comprendere il significato che questa espressione semplice e profonda racchiude esaminandone alcuni termini. E iniziamo dal termine cuore. Che cosa indicava nel linguaggio delle Scritture cristiane, cosa significava per Gesù? Sappiamo che il cuore è l’organo che batte nel nostro petto, ma nell’accezione comune del pensiero ebraico esso indicava l’unità dell’originaria vita umana. Il cuore è il centro dell’essere umano, è la fonte del suo comportamento. Non è quindi solo la sede della vita affettiva, ma anche del pensiero e della volontà. È inoltre nel cuore dell’uomo che Dio riversa la sua saggezza, ed è col cuore che l’uomo può rivolgersi a Dio in maniera piena e to- tale. Possiamo allora dire che è col cuore che si esprime la vera religiosità, poiché come afferma il teologo Karl Rahner esso è il punto ove l’uomo ha la sorgente stessa della sua personalità, il punto che confina col mistero di Dio. Passiamo ora ad esaminare brevemente il significato dell’altro termine: anima. Nella cultura occidentale questa parola ha acquistato un carattere ben definito e particolare. Per la cultura dell’Occidente l’anima costituisce la parte spirituale, intellettiva e volitiva della persona, quella destinata a sopravvivere dopo la morte. Assai diverso era il significato che ìl termine anima, nefes, aveva nella concezione ebraica. Derivava infatti dal verbo soffiare, respirare, per cui indicava l’alito, la forza vitale, quindi l’essere vivente in quanto tale. La nefes designava perciò l’essere umano in quanto uno. Un tale significato sarà mantenuto anche quando, nel Nuovo Testamento, il termine anima verrà tradotto con la parola greca psyche: essa indicherà cioè la vita fisica (cf. Mt 2, 20) o la vita come presupposto di tutti i beni terreni ed eterni (cf. Mt 16, 26). Si comprende allora perché Gesù dirà che chi vuole salvare la sua anima la perderà; chi invece perderà la sua anima per lui la troverà (cf. Mt 8, 35). Ed è proprio il nostro esistere rivolto al bene che Gesù chiede a noi, compiutamente e interamente, quando ci domanda di amare Dio con tutta l’anima. Ma Dio aggiunge ancora Gesù va amato pure con tutta la mente. E ciò richiede una sottomissione della nostra intelligenza a lui. L’uomo è molte volte portato a seguire la vanità della propria mente (cf. Ef 4, 18), a valutare cioè la vita sua, il mondo, le persone che lo circondano semplicemente con la sua intelligenza, che è pur sempre parziale e limitata. Perciò, se l’uomo non sottomette la sua mente limitata a Dio, che è la Mente per eccellenza, rischia di non comprendere nulla. Amare con la mente significa allora donare la nostra mente a Dio. E così facendo non si compie un atto irrazionale, non si diventa meno uomini: piuttosto si allarga la nostra ragione su dimensioni nuove, simili addirittura a quelle di Dio. Per questo gli apostoli, che avevano il compito di tradurre e trasmettere il messaggio di Gesù cominciando dal mondo greco che aveva sviluppato in maniera sublime e profonda proprio la ragione, sentirono la necessità di ricordare che anche la mente doveva essere tutta gettata nelle braccia di Dio. In Europa, oggi, invece, si pensa che la ragione, il raziocinio, l’intelligenza umana, possano dirci e darci tutto, possano spiegarci e illuminarci la vita e lo stesso mistero di Dio. L’uomo occidentale si è così aggrappato alla propria ragione per rendersi autonomo anche da Dio. Ma cosa ha sperimentato? Lo sappiamo: tutti abbiamo subito le sofferenze e le crisi dell’uomo che non ha voluto donare la propria ragione a Dio, che non ha voluto amare, con tutta la mente, Dio. Abbiamo assistito alla crisi profonda della civiltà occidentale; abbiamo assistito e assistiamo all’uccisione di tante persone e di popoli interi in forza proprio di una ragione che cerca una giustificazione per non vivere in Dio, di una ragione che, volendo salvare la sua grandezza, in realtà si abbrutisce, si dispera, si annienta. La nostra mente, infatti, può brillare in tutto il suo splendore solo se si lascia penetrare dalla luce di Dio. In tal senso si può dire che anche la ragione deve amare. È questo il segreto profondo racchiuso nell’invito trasmessoci dai Vangeli ad amare Dio con la mente. Invito che solo con una vita in Dio e per Dio possiamo almeno un po’ comprendere.