L’ammonimento di Totò Schillaci: la vita è una sola, non sprecatela
Ci sono storie che non hanno bisogno di molte parole perché sono avvolte da un’atmosfera magica e colorata, che sanno parlare al cuore più di tanti discorsi. Era il 1989, l’anno in cui, il 9 dicembre, mi sono sposata. Dopo il viaggio di nozze, io e mio marito, siamo passati a salutare sia i parenti calabresi sia quelli siciliani, che non avevano potuto partecipare al matrimonio.
E mia cugina, amica di Rita, la moglie di Totò Schillaci, come regalo di nozze, mi aveva procurato un incontro con il calciatore, che proprio quell’anno era passato alla Juventus. Mai dono fu più gradito! C’è da premettere che sono diventata juventina a 6 anni quando una mia zia, da Torino, mi portò una maglietta bianconera.
In un mondo di maschi, tutti milanisti ed interisti, non avevo vita facile anche se ero la cocca di tutti. Si guardavano tra loro come dire: “Non durerà, le passerà presto”. E invece, non solo non ho cambiato idea crescendo, ma addirittura – quando nel 1982 l’Italia vinse i Mondiali grazie a 6 mitici giocatori della Juve convocati da Bearzot, Dino Zoff, Claudio Gentile, Antonio Cabrini, Gaetano Scirea, Marco Tardelli e Paolo Rossi – qualcuno seguì il mio esempio.
Incontrare Salvatore Schillaci, che già era conosciuto ed apprezzato dalla squadra juventina e dai tifosi, era per me un onore ed una gioia. Avevo preparato una serie di domande, consapevole che, a volte, l’emozione può giocare brutti scherzi. Non volevo perdere neppure una parola di quel giocatore, che mi attirava per tanti motivi e che poteva essere un modello per i miei 72 scolari del liceo scientifico dove insegnavo.
Mi fece entrare la signora Rita a cui avevo portato un mazzo di fiori. Dopo qualche minuto ci raggiunse Totò: la mia gioia era più eloquente di tante parole! Gli portai un cartellone preparato insieme ai miei scolari con le frasi che ciascuno di loro aveva scritto… Si commosse. “Ne avevo proprio bisogno – mi disse -, perché non è stata una passeggiata lasciare il Messina per giocare nella Juve, anche se si è realizzato un mio sogno!”.
Mi ringraziò e mi chiese come si stava da sposati, come avevo conosciuto mio marito e mi disse di aver sposato Rita nel 1987. Mi mise talmente a mio agio, che mi sembrò di averlo conosciuto da sempre! Quello che sorprendeva in lui erano proprio la semplicità e la cordialità, quella profonda umanità che contribuiva a creare un clima di simpatia e di amicizia. La moglie ci lasciò soli e gli chiesi se potevo fargli qualche domanda.
Mi puoi dire qualcosa della tua vita?
Sono nato il 1 dicembre del 1964 a Palermo, in un quartiere popolare, il Cep. Pensa: la strada non era neanche asfaltata, dappertutto solo sassi, polvere e qualche arbusto fiorito. Ma era il mio angolo di mondo! Quante corse dietro ad un barattolo, una lattina, qualunque cosa che potesse assomigliare ad un pallone. Ero povero, dillo ai tuoi scolari, ma quanti voli con la fantasia, quanti sogni, perché sognare è importante per accettare la realtà e per coltivare una speranza nel cuore. Ho due fratelli, Giuseppe, Giovanni e una sorella, Rosalia: non era facile andare avanti per noi: la strada era tutta in salita!
Che importanza ha avuto per te la famiglia?
La famiglia è un punto di riferimento fondamentale! Ero e sono molto legato ai miei familiari ancora di più ora che vivo lontano, appena posso li raggiungo con qualsiasi mezzo. La mia vita non è stata semplice. Intanto sono nato di sette mesi. I nonni mi scaldavano con borse d’acqua calda per mantenere sempre una temperatura costante come in una incubatrice. Senza i miei nonni non sarei sopravvissuto (ndr, avevamo riso perché anch’io sono nata il 1 dicembre, prematura, e fui circondata di coperte e di caldo come era successo a lui). La mia non era una famiglia benestante. Mio padre ci portava al mare, a Mondello, e come salvagente avevo una camera d’aria. Ho fatto il panettiere, il gommista, l’ambulante, consegnavo il vino, vendevo frutta, perché come tutti, volevo dei soldi in tasca. Abitavamo in via della Sfera n. 19. Il nome di quella via era un segno del destino: sfera = pallone. Giocare a calcio mi distraeva e mi allontanava da tante realtà negative, comprese le cattive compagnie. Fu il mio salvagente e mi salvò in più occasioni.
Qual è stato il tuo rapporto con la scuola?
Non mi piaceva troppo andare a scuola, ma mi sono sforzato di imparare e di andare avanti. Penso che sia più facile fare il calciatore che l’insegnante. Con me hanno avuto pazienza e alcuni insegnanti li vado ancora a trovare, entro nella mia scuola. Ho in mente sempre i ragazzi, soprattutto quelli delle periferie come lo sono stato io. Noi adulti abbiamo delle responsabilità verso di loro, ci guardano, ci ammirano, io stesso nonostante i miei difetti posso essere un esempio buono per loro.
Quale messaggio vuoi che io porti ai miei scolari?
Diglielo da parte mia: per crescere occorre faticare, sacrificarsi, perché vivere è una responsabilità. Abbiamo una vita sola: non possiamo sprecarla né a Palermo né a Parma né in qualsiasi posto. Le difficoltà, gli imprevisti che affrontiamo, ci maturano.
Cosa significa per te entrare in campo?
È per me vivere una magia! Mi ritengo molto fortunato perché sono una persona del Sud che ce l’ha fatta ad arrivare in alto. A me piace segnare, vivo per fare goal: in quel momento provo una gioia che poi esprimo con le braccia, con gli occhi, con la voce.
Tu sei del Sud come me. Qualcuno ti ha fatto pesare la tua origine meridionale?
Tocchi un tasto dolente. L’antipatica etichetta di terrone mi è stata appiccicata dal pubblico avversario non solo a Torino, anche con scritte sui muri sotto casa, ma anche in molti stadi italiani. Ed è triste che siano state le città del Sud, Bari e Napoli, ad avermi insultato di più. Questo che per loro è un insulto mi procura fastidio e amarezza perché non riesco a comprenderlo.
Sei legato a Palermo?
Io mi sento figlio di questa bellissima città. Ho iniziato a giocare nelle giovanili dell’AMAT e il Palermo ha tentato di comprare sia me che il mio compagno, Mancuso, ma per 7 milioni il tentativo fallì e così nel 1982 passai al Messina. Poi il resto lo sai. Gli allenatori sono stati importanti per me, ho imparato tantissimo da loro e non smetterò mai di ringraziarli. Purtroppo Palermo da tanti viene associata alla mafia, al totonero, alle bische, al pizzo… Io pensavo a giocare e tanti siciliani, come me, non hanno niente a vedere con la mafia.
Cos’é l’amicizia per te?
Io conto sugli amici e loro su di me. Gli amici sono determinanti nella mia vita. Mi danno forza e coraggio. Io per esempio, quando sono arrivato alla Juve, mi sentivo spaesato, un po’ triste… Stefano Tacconi, il capitano della mia nuova squadra, se n’é accorto e ha fatto di tutto per farmi sentire a mio agio. Ora siamo molto amici e lo ringrazio per questo. E così con altri sta succedendo la stessa cosa. Da soli non è bene stare mai.
Parlando di amicizia concludemmo quella lunga chiacchierata, che mi aveva colpito profondamente. Mi sento orgogliosa di averlo conosciuto per i valori che ha trasmesso a me e a tutti attraverso il suo modo appassionato di vivere il bel calcio. Una nuova palestra, oltre ad una scuola da lui voluta e finanziata per allontanare dalla strada e dai pericoli tanti ragazzi palermitani, porterà il suo nome.
I suoi funerali sono stati celebrati il 20 settembre nella Cattedrale di Palermo. Il numero 19 della via in cui abitava, diventato il numero sulla sua maglia di calciatore straordinario, è ricomparso nell’ultimo, indimenticabile omaggio di tanti calciatori entrati in campo nello stadio palermitano al diciannovesimo minuto per l’ ultimo applauso con il sottofondo della canzone “Notti Magiche” di Italia ’90. Straordinari Mondiali in cui l’allenatore Vicini lo chiamò e lui divenne il capocannoniere della nazionale italiana. Tutti in piedi con le lacrime agli occhi! Tu che eri così semplice ed umile, Totò, te ne sei andato come un re.
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