L’amicizia via al dialogo
Il patriarca ecumenico di Istanbul, Atenagora I, chiamava padre Angelo il suo angelo, il suo confessore. Non che si confessasse da lui con il sacramento. Gli confidava piuttosto i suoi più intimi desideri, le sue preoccupazioni, i sogni. Al primo posto c’era il grande anelito dell’unità della chiesa. Quando fui eletto patriarca ecumenico di Costantinopoli – gli raccontò una volta – mi trovavo negli Stati Uniti. Salito sull’aereo, pregai il comandante di fare una deviazione e di passare sopra Roma. Sorvolammo la città eterna due volte. Ero commosso, il mio cuore era là, al centro della cristianità. Perché ci siamo separati? Perché non ritorniamo all’unico calice?. In padre Angelo, Atenagora trovò non soltanto un confessore che lo ascoltava con amore e che gli consentiva di rendere sempre più esplicito il suo senso ecumenico, ma anche una persona amica che gli aprì la strada per realizzare il grande sogno di incontrare Paolo VI. Padre Angelo Beghetto era giunto a Istanbul nel 1960, con il compito di ministro provinciale dei Frati conventuali. Venendo dal cattolicissimo Veneto, rimase colpito dalla grande varietà delle chiese che vedeva attorno a sé: ortodossi, armeni, siriani, anglicani, evangelici, luterani… Tante tradizione diverse sarebbero potute essere una ricchezza. Ne avvertì, invece, il peso della divisione. La percezione della mancanza di comunione fra tutte quelle chiese gli apparve triste, dolorosa, misteriosamente incomprensibile e scandalosa. Nella stessa Chiesa cattolica avvertì difficili ed esasperati rapporti di convivenza tra i diversi riti: cattolici latini, greci, armeni, caldei… Ma ancora più triste – raccontava padre Angelo – era il fatto che nessuno, o quasi, ne avesse coscienza o si preoccupasse eccessivamente. Anzi c’era chi trovasse questo normale e giustificabile. Che dire poi della distanza con i musulmani e gli ebrei? Padre Angelo partiva tuttavia avvantaggiato per la costruzione di rapporti d’amicizia con tutti. Dalla sua parte aveva infatti nientemeno che sant’Antonio, proprio quello da Padova presso il cui famoso santuario aveva vissuto per anni. Anche ad Istanbul padre Angelo era incaricato della chiesa di Sant’Antonio ed egli,lo si sa, ha amici ben al di là dei cattolici di rito latino! La chiesa, soprattutto i martedì, era frequentata da cristiani di tutte le denominazioni e anche da musulmani. I frati erano abituati a vedere affluire tante persone, ma si interessavano soltanto dei cattolici. Padre Angelo, invece, appena arrivato, cominciò a intrattenere rapporti di sincera amicizia con tutti, come era sua abitudine. La mia attitudine nei confronti di tutti indistintamente – raccontava lui stesso – era quella di considerarli fratelli nei quali amare Gesù, anche se altro non mi era concesso di fare. E divenne amico di cattolici, ortodossi, musulmani… Il pastore protestante lo invita a parlare nella sua chiesa. Poi è la volta di quello anglicano e luterano. Una delegazione della città di Nicea lo chiama a partecipare ai festeggiamenti locali e nell’antica chiesa, ormai in rovina, che aveva visto il grande concilio del 325, per tre sere consecutive celebra la messa alla presenza di musulmani e cristiani. Quando in Sant’Antonio si festeggia la beatificazione di Massimiliano Kolbe, assieme a cristiani e musulmani si rendono presenti anche gli ebrei con il rabbino capo. E dopo la chiesa è il refettorio del convento dei frati che si apre a persone di ogni religione e credo. Ormai padre Angelo è diventato l’amico di tutti. Un amico sincero e disinteressato. Un giorno una persona gli propone di fare visita al patriarca ecumenico Atenagora dicendogli: Lei è molto benvoluto dagli ortodossi e io avrei piacere che lei conoscesse il nostro patriarca. Padre Angelo accetta subito e, nella data fissata, si reca da lui. Per la strada – è lui stesso che racconta – pensavo che era Gesù da amare. L’amore mi avrebbe suggerito come comportarmi anche di fronte ad una persona di così elevata dignità e ricchezza spirituale e morale. Il patriarca conosce tutto di lui, dei suoi rapporti con i cristiani delle varie chiese, con i musulmani e gli ebrei. La conversazione si avvia subito sull’urgenza di rimediare allo scandalo secolare della disunità e di riportare i cristiani all’amore reciproco, alla carità della chiesa dei primi tempi. Dopo quella prima conversazione ne seguono altre, sempre cordiali e dense di sollecitudine per la chiesa, per i popoli, per il ricupero dei valori essenziali dell’uomo. Un giorno padre Angelo gli dice che deve parlargli di una cosa importante, che gli sta particolarmente a cuore. Il patriarca gli fissa un appuntamento per il giorno successivo. Mi recai da lui con l’animo gioioso e trepidante – racconta padre Angelo -. Gli parlai di Chiara Lubich che avevo conosciuto parecchi anni prima e del Movimento dei focolari, che lo Spirito aveva suscitato proprio per portare l’unità. Il colloquio durò una ventina di minuti. Il suo viso si illuminava, i suoi occhi brillavano per la commozione, mi strinse la mano e mi disse: Dov’è Chiara? Perché non viene da me? Dille che venga, la voglio vedere al più presto. E Chiara venne. Era il 13 giugno 1967. Si apriva una grande porta che presto avrebbe condotto all’atteso incontro con Paolo VI. La capacità di amare tutti e di ascoltare, la passione per l’unità della chiesa e la fratellanza fra tutte le religioni era crescita in padre Angelo proprio grazie al suo incontro con la spiritualità dell’unità. Aveva 32 anni quando, alla fine dell’anno 1949, inaspettatamente vennero a dirgli che nel parlatorio del convento lo aspettavano due ragazze. Padre Angelo, al tempo brillante professore di filosofia, proprio in quel momento stava spiegando l’argomento di sant’Anselmo sull’esistenza di Dio. Finita la lezione scese in parlatorio. Una delle due ragazze, con molta semplicità, gli rivolse immediatamente la domanda: Vero, padre, che anche lei ama Gesù? La mia ri-sposta – raccontò poi padre Angelo – non arriva subito. Sono costretto a fare un breve esame di coscienza. Nessuno mai, neanche il mio maestro di noviziato, mi aveva rivolto una domanda così diretta e centrata. Ero stato colto di sorpresa. La mia risposta riflette il mio stato d’animo: Sì, mi pare di sì. Avevo avvertito qualcosa come il giudizio di Dio su di me. Sinceramente mi pareva di amare Dio. Eppure in quel momento, di fronte a quelle due giovani, così semplici, serene, sorridenti avvertivo dentro di me qualcosa che mi sconvolgeva senza turbarmi. La mia vita veniva scossa da un torpore, percepivo come un raggio di luce. Una delle due giovani cominciò a narrare la storia dei tempi di guerra quando, sul crollo di tutto, case e ideali e progetti umani, appariva l’unica vera, perenne, intramontabile, indistruttibile realtà: Dio-amore. È la storia sempre ripetuta e sempre nuova dell’inizio di quello che sarà il Movimento dei focolari. Mentre quella giovane parlava – ricorda padre Angelo – si produceva in me una sensazione mai provata. Lei parlava di Gesù, di Dio, di vangelo. Non eravamo noi sacerdoti che avevamo allora il monopolio delvangelo, della evangelizzazione? Sentire queste cose dette da una giovane laica era strano, quasi incredibile. Ebbi un attimo d’esitazione. Poi, come un lampo, come una spada che mi trafiggeva, risuonano nel mio intimo chiare, distinte, le parole di Gesù: Io ti benedico o Padre, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Avevo l’impressione che lo Spirito di Gesù, presente in quelle persone, attraverso quelle parole, rese cosìvive e luminose dalla loro vita, mi penetrasse la mente e il cuore. Contemporaneamente – proseguiva – mi risuonavano nell’animo le parole di san Francesco, il mio fondatore: Mio Dio e mio tutto… L’Amore non è amato… Siate frati minori… Lavatevi i piedi gli uni gli altri… Conosco Gesù povero e crocifisso…. Ascoltavo, ascoltavo. Ero conquistato. Un giorno, tanti anni prima, Chiara Lubich aveva chiamato padre Angelo Beghetto per dargli un nome nuovo. Avrebbe voluto chiamarlo Gesù, ma in italiano, a differenza di altre lingue, non si usa questo nome. Per questo, gli disse, si sarebbe chiamato Nazareno, ricordando che il momento più alto della vita di Gesù era stato il suo abbandono sulla croce. Ed è stato questo il segreto di padre Nazareno: la progressiva trasformazione in Gesù abbandonato, celata dal suo modo di fare sempre gioioso e sereno. Contrarietà, incomprensioni, solitudine sono stati i volti dell’abbandono che lentamente lo hanno trasformato in Gesù. E poi la malattia, che gradatamente lo ha privato di tutto lasciandogli soltanto, proprio come aveva compreso il primo giorno che aveva incontrato l’Ideale dell’unità, l’unica vera, perenne, intramontabile, indistruttibile realtà: Dio-amore. Fino alla sua partenza per il Cielo, il primo maggio di quest’anno. Così si è adempiuto il suo sogno ecumenico, di dare la vita, come Cristo (così in un suo scritto del 1974), perché, con l’ut omnes, si realizzi non solo il paradiso in Cielo, dove tutti noi canteremo il Cantico dei cantici e passeggeremo in quel luogo d’incanto, ma anche il paradiso sulla terra, che attragga tutti gli uomini e comprendano come Dio è veramente, Padre e Madre, che ci crea e ci nutre e ci dà il centuplo.