L’amica geniale
È davvero interessante la regia di Saverio Costanzo nei due primi due degli otto episodi della serie tratti dal romanzo di Elena Ferrante. La storia di una amicizia iniziata nella Napoli degli anni ’50 si snoderà poi attraverso varie tappe, cominciando dall’anziana Elena Greco che ricorda l’antica amica-nemica, ormai sparita, di cui decide di raccontare la vicenda che le ha unite fin dall’infanzia.
La voce narrante fuori campo commenta e lega con discrezione le scene, dando la sensazione di un filo forte eppure invisibile che unisce la visione di una Napoli del dopoguerra, violenta, umida, dove le bambine sono destinate alla vita in casa, pur dotate come Lila, impedite di studiare da una famiglia in cui la povertà materiale si unisce a quella spirituale, ad una mentalità arcaica di sottomissione al maschio di casa, padre o fratello che sia. Eppure, Costanzo riesce a non scendere mai nella retorica, a trattare con una delicatezza e profondità piene di amore le due bambine che viaggiano alla scoperta del mondo – non hanno mai visto il mare –, della vita in un quartiere malavitoso, duro, che ruba presto l’innocenza ai piccoli.
Lila è l’intraprendente, la ribelle, Elena la timida, la studiosa. La mano del regista è felice nel presentare la vita del quartiere, i rapporti tra le persone – le liti fra le donne, il boss, la maestra… –, preciso nei costumi e nelle architetture, sotto una luce velata, mai azzurra. L’azzurro è nel cuore e negli occhi delle ragazzine, nella loro voglia di conoscere e di vivere che Costanzo trova e scava con tatto, anche grazie alle due bravissime piccole attrici. Il quartiere di questa Napoli ansiosa e sofferta si fa così specchio non solo di un momento storico, ma dell’oggi, dell’umanità – dell’infanzia – ferita in tanta parte d’Italia e del mondo.