L’America teme i tagli di Trump al welfare

Nonostante le rassicurazioni della Casa Bianca, il dipartimento dell'"efficienza governativa" guidato da Musk e i numeri della legge di bilancio fanno temere a molti che la minima assistenza sanitaria garantita e i programmi di sostegno al reddito e all'istruzione siano a rischio. Una testimonianza
Elon Musk e Donald Trump nel giardino della Casa Bianca, l'11 marzo 2025. EPA/SAMUEL CORUM / POOL

Che Trump volesse tagliare pesantemente sul bilancio federale, lo si sapeva già dalla campagna elettorale: è sempre stato uno dei suoi cavalli di battaglia, in un Paese in cui la spesa pubblica – specie quella federale, assai più che quella dei singoli Stati – è spesso vista, più o meno a ragione, come inefficiente nel migliore dei casi e inutile nei peggiori. Tra i primi provvedimenti di Trump e Musk, quest’ultimo a capo del neonato Doge (acronimo di Department of government efficiency, dipartimento – in Italia lo chiameremmo ministero – dell’efficienza governativa), c’è stato il congelamento dei finanziamenti a Usaid (l’ente di aiuto ai Paesi in via di sviluppo), il taglio ai fondi per la ricerca alle università (in particolare quelle, come Columbia e Harvard, che a dire di Trump non avevano contrastato l’antisemitismo dopo l’inizio dell’attacco israeliano a Gaza), e il licenziamento della metà dei dipendenti del ministero dell’Istruzione (inutile, a detta di Trump, in quanto dell’istruzione possono occuparsi i singoli Stati, nonché covo, sempre a suo dire, di socialisti e comunisti).

Naturalmente, però, non hanno tardato a palesarsi i primi “boomerang” di questi tagli. Il congelamento dei fondi a Usaid, insieme al ritiro dall’Oms, ha fatto gridare al concreto rischio di crisi sanitarie che si espanderebbero rapidamente al resto del mondo, Usa compresi. Il taglio dei fondi alla ricerca universitaria, oltre ai limiti posti sulle parole che si possono e non si possono usare nelle ricerche (di cui abbiamo parlato qui), hanno bloccato del tutto o messo a serio repentaglio gli avanzamenti nella lotta al cancro e ad altre gravi patologie, in un Paese che già vanta una delle aspettative di vita più basse tra quelle dei Paesi occidentali. La possibile chiusura o riduzione ai minimi termini del ministero dell’Istruzione mette a rischio una serie di sostegni per gli studenti, in un Paese in cui l’istruzione di qualità è in buona parte privata e costosa, e anche quella pubblica non sempre è a buon mercato: su tutti si teme per i Pell grants, finanziamenti a fondo perduto concessi per gli studi universitari in base alla propria fascia di reddito. Una misura che ha fatto alzare gli scudi al mondo universitario: l’Harvard Crimson, testata della prestigiosa università di Harvard, ha pubblicato uno sferzante editoriale in cui si sostiene che «gli autocrati, sia di destra che di sinistra, attaccano sempre le università»; e riporta svariati esempi di come i governi autoritari mettano a tacere il dissenso colpendo l’istruzione, lanciando un appello perché tutti gli atenei, anche quelli non direttamente colpiti dai tagli, prendano posizione contro questi attacchi.

La stessa Harvard, peraltro, ha pubblicato sul suo sito la notizia che dal prossimo anno accademico l’esenzione totale dalle tasse universitarie sarà estesa a coloro il cui nucleo familiare guadagna meno di 100.000 dollari l’anno, mentre l’esenzione dalla “tuition fee” (la “tassa sull’insegnamento”, la voce più consistente delle tasse universitarie) sarà estesa alla soglia dei 200.000 dollari. Uno sforzo, si spiega, compiuto nonostante i tagli, per garantire comunque la possibilità di studiare a sempre più giovani; in un Paese in cui chi si laurea ha spesso centinaia di migliaia di dollari di debito alle spalle. Una mossa tuttavia, fra notare l’ateneo stesso, possibile anche perché il 55% di chi arriva a studiare lì proviene da famiglie il cui reddito è al di sopra della soglia oltre cui si paga l’intero importo delle tasse universitarie, 80.000 dollari l’anno: un’osservazione che è un aperto riconoscimento di come le disuguaglianze siano sempre più gravi, dato che i relativamente pochi che hanno una famiglia molto facoltosa alle spalle riescono ad avere sin da piccoli un’istruzione tale da consentire di assicurarsi la maggior parte dei posti nelle migliori università

E ora, per quanto Trump abbia apertamente smentito questa eventualità con tanto di comunicato ufficiale sul sito della Casa Bianca, si teme per il welfare: nella fattispecie la “social security” che garantisce le pensioni ed altre forme di assistenza sociale, e i programmi di assistenza sanitaria Medicare e Medicaid (che garantiscono un’assistenza minima agli anziani e agli indigenti). Come fanno notare diversi analisti, non si vede come i sostanziosi tagli prospettati al bilancio federale (Trump ha parlato di 1500-2000 miliardi di dollari nel prossimo decennio) si possano portare a termine senza toccare queste voci. Musk, in un’intervista, ha fatto notare come gran parte della spesa pubblica sia costituito dagli “entitlements”, “benefici”: ossia per l’appunto assistenza medica, sociale e pensionistica. Ovviamente questi tagli andrebbero a colpire anche buona parte dell’elettorato di Trump, per cui il partito Repubblicano ci sta andando con i piedi di piombo: secondo quanto ha riferito la Reuters il 17 marzo, i repubblicani al Congresso sarebbero divisi sul se e come riformare questi progetti per risparmiare. E questo nonostante, secondo il citato comunicato della Casa Bianca, negli ultimi 20 anni si siano registrati sprechi per quasi 3000 miliardi di dollari a causa di pagamenti “impropri” (ossia fatti a chi non ne aveva diritto) nell’ambito dei programmi di sicurezza sociale, e i risparmi necessari possano quindi essere ottenuti semplicemente intervenendo su questo. Se i calcoli siano corretti, e come sia effettivamente possibile intervenire, è dunque oggetto di discussione in questi giorni. Intanto, Trump ha comunque revocato l’ordinanza di Biden che imponeva prezzi massimi per farmaci salvavita come l’insulina.

Di qui il timore che si possa andare oltre, smantellando l’assistenza sanitaria e sociale. Toccante la testimonianza che abbiamo ricevuto da un anziano californiano, docente e ricercatore universitario in pensione: «Mia madre era una segretaria, e mio padre un venditore di vernici. Non guadagnavano molto: nei periodi in cui gli affari andavano male, ciò che mio padre portava a casa non sarebbe bastato a vivere. Beneficiavamo dei programmi di assistenza sanitaria e sociale. Dopo aver avuto un attacco di cuore, si è trasferito a vivere con noi anche mio nonno. Mio padre è poi morto di cancro ai polmoni all’età di 53 anni, quando io ne avevo solo 14. Se non fosse stato per la pensione di mio nonno, veterano della guerra ispano-americana del 1898, e per un semisconosciuto programma di assistenza sociale per le vedove con figli creato dal presidente Roosevelt, ci saremmo trovati in una situazione di grave indigenza, e io non avrei potuto studiare fino alla laurea all’Università di California. Ciò che Trump e Musk stanno facendo a questi programmi federali di assistenza sociale mi tocca personalmente».

La situazione è ancora in fieri, tra annunci, smentite e rilanci sia di Trump che dell’opposizione democratica; ma senz’altro l’attenzione rimane elevata.

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