L’America Latina attende tempi migliori

Ci si aspetta che migliorino le condizioni economiche, ma è la politica lo strumento per ottenerli

È chiaro che per l’America Latina si è concluso il ciclo che aveva generato prospettive di sviluppo, soprattutto nei settori sociali maggiormente vulnerabili. Nel passato ciò era accaduto in determinati Paesi, ma nel periodo 2003-2014 forse per la prima volta ciò è successo in modo esteso e prolunato. Sono stati anni in cui la regione ha smesso di essere una mera appendice del mondo occidentale, incaricata di produrre le materie prime necessarie al Primo Mondo. L’avvento nel mercato locale di Cina e India ha dato slancio al commercio secondo uno schema di mutuo vantaggio.

La lotta contro la povertà, e dunque una migliore qualità di vita, ha avuto come base sostanziale un trasferimento di risorse attraverso una vera ridistribuzione del reddito. Un fattore essenziale in una regione dove praticamente in tutti i Paesi, il 10% (ed anche meno) dei settori più abbienti ha in mano tra il 40 ed il 60% del Pil. Tale concentrazione di ricchezza è dovuta a un sistema tributario che non incide in modo progressivo in base al livello di entrate di ciascuno. La massima parte delle entrate pubbliche è generata dall’Iva, anche su generi di prima necessità.

L’evasione fiscale è elevata: 360 miliardi di dollari svaniscono ogni anno e la metà finisce nei paradisi fiscali. Dunque, ecco un primo mito da sfatare: non mancano le risorse, ma manca il senso civico, cioè non si pagano le tasse. Per i settori produttivi queste sono sempre elevate, ma in realtà quello che è elevato è il tasso di benefici annuale. La pretesa è di conservarlo intorno al 20%, ma in certi settori supera il 25% ed anche molto di più.

La fine del ciclo si deve dunque a un paio di fattori. Il primo è il freno alla fase di espansione registrato a partire dal 2012, quanto l’economia cinese ha cominciato a comprare meno. Il secondo sono gli errori commessi dai governi che non si sono dedicati a rendere sostenibile il sistema di distribuzione del reddito, ad esempio riformando in modo più efficiente il sistema tributario e dando vita a patti sociali di ampio respiro: guadagnare meno (gli industriali), ma durante periodi più lunghi di maggiore stabilità, spendere meglio (lo Stato), crescere tutti. Quando l’erario pubblico ha esaurito la sua capacità di far fronte alle politiche sociali, i settori più abbienti si sono rifiutati di mettere mano al portafogli, alimentando (grazie al controllo dei media) la crisi che ha imposto una giravolta politica in tutta la regione.

Ovviamente, il quadro è più complesso. Gli scandali che in Argentina, Brasile, Perù ed Ecuador hanno spazzato via leader e intere “cupole” politiche dicono anche che malgoverno e corruzione sono mali endemici dell’America Latina. Il che significa istituzioni poco credibili, nei cui confronti la sfiducia generale è grande. Uno studio del Banco interamericano per lo sviluppo, indica che si spendono male e senza effetti 220 miliardi di dollari l’anno. Invece di migliori servizi, si preferisce il sussidio diretto, perché non si sa come verrebbero spesi altrimenti i fondi pubblici.

E si commercia ancora poco tra i Paesi della regione: il commercio tra i Paesi della Unione europea, per fare un paragone, rappresenta il 74% dell’economia della Ue, mentre da questo lato dell’Atlantico si stenta a superare il 25%. Non solo, ma siamo carenti delle infrastrutture necessarie: strade, autostrade, ferrovie, passi montani, ponti, porti che colleghino le sponde oceaniche ed i vari Paesi. Mentre la Ue ha organismi che in modo autonomo portano avanti i progetti di sviluppo delle infrastrutture, i vari blocchi d’ integrazione latinoamericani, quando funzionano, hanno bisogno dei summit dei capi di Stato e di governo, perché non si delegano le decisioni a un livello più esecutivo, ne esistono fondi comuni di sviluppo.

Non ci si sorprenda, allora, se nella regione si registra una ripresa del numero dei poveri. Ma la vera povertà è politica. Il continente della socialità oggi è carente di un progetto comune sostenibile, del quale nel periodo menzionato – pur con errori e ideologismi –, qualcosa era apparso all’orizzonte.

Sarà difficile che ciò avvenga se continueremo ad aspettarci tempi migliori dall’economia e non dalla politica, che è lo strumento capace di trasformare in migliori anche i tempi peggiori.

 

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