L’America latina al tempo di papa Francesco

Circa 30 anni fa, Giovanni Paolo II ha visitato Ecuador, Bolivia e Paraguay, ma in un contesto completamente diverso. Sono mutate le circostanze storiche e sono in azione governi che hanno preso di petto la lotta contro la povertà e l’esclusione, l’emarginazione. Ma per continuare per questa strada, il dialogo è uno strumento prezioso. La via di Bergoglio
Il papa in Bolivia

Sono molteplici le chiavi di lettura di questo primo viaggio sudamericano di papa Francesco. È difficile stabilire perché abbia scelto di visitare proprio Ecuador, Bolivia e Paraguay. Come ha riconosciuto lo stesso presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, si tratta di Paesi che storicamente sono sempre stati quelli di maggiore povertà relativa rispetto al resto dell’America del Sud. In essi è tra l’altro presente una importante componente indigena, spesso animata da una cosmovisione che ha punti di contatto con i valori evangelici e che chiamano in causa un dialogo profondo con la Chiesa nel suo annuncio evangelizzatore. Siamo dunque in alcune delle periferie verso le quali Bergoglio invita ad uscire. Quella del papa è una Chiesa “che esce dalla sua comodità ed ha il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo”, come ha spiegato a religiose e religiosi in Ecuador.

 

Alcuni media stanno indicando certa sintonia del papa con i governi dell’Ecuador e della Bolivia. Un atteggiamento abbastanza dissimile da quello di Giovanni Paolo II durante le visite realizzate nel 1985 in Ecuador e nel 1988 negli altri due Paesi, che ebbe parole accese ed incisive nei suoi interventi. Va tenuto conto, è quasi una ovvietà, che il contesto storico di queste visite papali e completamente cambiato. Trent’anni fa la regione stava tornando alla democrazia, dopo una tragica e sanguinaria parentesi, che in America Centrale sarebbe durata ancora fino alla metà degli anni ‘90. Il Paraguay si trovava sotto la mano di ferro di Alfredo Stroessner e forse qualcuno potrà ricordare l’indice accusatore puntato da Giovanni Paolo II contro il dittatore mummificato nel potere.

 

Con tutti i loro limiti, che non mancano, in Bolivia e in Ecuador va segnalato lo sforzo dei governi locali proprio per superare le storture della disuguaglianza e l’emarginazione che hanno caratterizzato queste società. In entrambe le costituzioni nazionali sono stati recepiti i principi di quell’economia che l’economista Stefano Zamagni definisce “civile” e sono numerose le politiche sociali volte a valorizzare la ricchezza multietnica di questi Paesi. In Bolivia, il microcredito ed il cooperativismo, ad esempio, partecipano già a amplia scala, rappresentando circa il 25 per cento del prodotto interno lordo.

 

D’altro canto, il nome ufficiale della Bolivia include l’espressione di “Stato plurinazionale”, in riconoscimento della diversità etnica e culturale delle sue componenti, di cui il proprio presidente Evo Morales è espressione. In questi anni gli indicatori sociali, sia in Ecuador che in Bolivia, sono migliorati sensibilmente, e si realizzano grandi sforzi per far sì che lo Stato sia un  attore presente nella costruzione di opportunità di sviluppo per tutti i settori sociali. Non a caso, entrambe i presidenti, eletti con ampio margine e con un importante appoggio popolare, hanno accolto molto positivamente, direi con entusiamo, il discorso di Bergoglio fin dalla sua elezione, e particolarmente quello che sviluppa con la sua enciclica Laudato si’. L’esperienza multiculturale di Ecuador e Bolivia potrebbe ispirare situazioni simili in altre aree del pianeta.

 

Ma proprio per garantire pieno successo a questo processo, creo che apparirà spesso in questi giorni la parola dialogo, che ha gia fatto capolino in alcuni interventi, magari a braccio, del papa. Esiste una sfida comune a gran parte delle democrazie sudamericane: quella di avanzare verso una migliore qualità della democrazia, senza cadere, da parte dei governi, nella tentazione di trasformarsi in processi egemonici e di cedere al clientelismo. L’altra tentazione, da parte dei settori che spesso sono all’opposizione, è quella di ridursi a rappresentare gli interessi di coloro che nel passato hanno tratto beneficio dalle disuguaglianze esistenti, occultate sotto l’ideologia del libero mercato a tutti i costi. Il papa sa che solo con molto dialogo ed altrettanta pazienza sarà possibile trovare il giusto equilibrio tra chi sa produrre ricchezza, ma non distribuirla, e chi sa distribuirla, ma non sa come produrla. 

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