Lame ghiacciate, spirto bollente
Ci sono tanti tipi di storie. Quella che ha per protagonisti i ragazzi italiani dello short track comincia in una fredda notte norvegese di otto anni fa. Siamo a Lillehammer, sede dei Giochi Olimpici. Il quartetto azzurro maschile composto da Mirko Vuillermin, Maurizio Carnino, Orazio Fagone e Ugo Herrnof si aggiudica tra lo stupore generale la medaglia d’oro nella prova di staffetta. A guidare la squadra è Stelio Conti, un giovane professore di educazione fisica bergamasco con le idee molto chiare. “Noi abbiamo grandi speranze per il futuro – dichiara subito dopo il trionfo olimpico -, perché siamo pochi ma con un enorme entusiasmo. I ragazzi hanno voglia di fare e di stare insieme. Ne vedremo delle belle”. Ed infatti i risultati arrivano puntualmente. Le tante ore passate ad allenarsi vengono ripagate da affermazioni di prestigio, tra cui spiccano le numerose medaglie conquistate nei Mondiali degli anni successivi. Purtroppo però, come spesso accade in tutte le storie, accanto a pagine felici si accompagnano anche momenti difficili, a volte addirittura tragici. Nell’estate del ’97, a soli venti giorni di distanza l’uno dall’altro, prima Vuillermin e poi Fagone sono vittime di due terribili incidenti stradali accaduti entrambi, fatalità del caso, nei pressi di Aosta. E con le stesse modalità: travolti da un camion mentre sono a bordo delle rispettive moto. Orazio è costretto ad un lungo calvario fatto di degenze in ospedale e riabilitazioni, mentre a Mirko va addirittura peggio visto che si rende necessaria l’amputazione della gamba destra. Per tutti e due è la fine della carriera sportiva. I compagni dei due sfortunati ragazzi sono sconvolti, abbattuti, ma nonostante tutto vanno avanti. Ancora non sanno che altre difficoltà li attendono dietro l’angolo. Alle Olimpiadi di Nagano dell’anno successivo infatti una serie di cadute in gara li costringe, per la prima volta dopo tanti anni di ottimi risultati, a tornare a casa senza alcuna medaglia. Così, complice la crisi economica che colpisce in quel periodo tutto lo sport italiano, lo short track rimane praticamente senza finanziamenti. I contributi del Comitato olimpico alle varie federazioni vengono erogati infatti proprio in ba- se ai piazzamenti ottenuti nelle grandi manifestazioni. Certo, spinti dalla grande passione che li anima, i ragazzi continuano a pattinare pur tra mille difficoltà. Ma il loro allenatore è costretto a tornare a casa e loro devono necessariamente dividersi, allenandosi chi da una parte chi da un’altra. Così nel quadriennio che ha portato ai recenti Giochi Olimpici gli azzurri non raccolgono che rare soddisfazioni. Un ciclo vincente pare finito, ed il gruppo è sul punto di sfaldarsi. Poi, quando questa storia sembra concludersi, ecco accadere quello che non ti aspetti. Pur di partecipare alle Olimpiadi da protagonisti, gli atleti della nazionale italiana si rendono artefici di una scelta a dir poco singolare: decidono di autoridursi la loro già esigua diaria (da 60 a 30 mila lire al giorno!), in cambio del ritorno dell’allenatore Stelio Conti che li aveva portati al successo e della promessa di poter tornare ad allenarsi tutti insieme. Ma il cammino verso una medaglia a cinque cerchi si rivela ancora una volta in salita. Prima un brutto infortunio a Nicola Rodigari, poi, a Giochi iniziati, la squalifica di Nicola Franceschina nei 500 metri per una doppia falsa partenza inesistente: tutto sembra andare per il verso storto. Fortunatamente i nostri due atleti non si abbattono, ed anzi si riscattano conquistando insieme a Fabio Carta, Maurizio Carnino e Michele Antonioli uno splendido argento nella prova di staffetta. Anche qui, grazie ad una scelta controcorrente. I posti in gara sono solo quattro e così “In finale abbiamo inserito Maurizio al posto di Michele, che aveva disputato un’ottima semifinale – ha dichiarato Conti stretto in un caloroso abbraccio dai suoi ragazzi al termine della gara -; dietro questa decisione non ci sono state particolari ragioni tecniche ma abbiamo scelto così per il gruppo, perché tutti e cinque potessero partecipare ed eventualmente salire sul podio per mettersi al collo una medaglia. Se le cose fossero andate male forse saremmo stati criticati, ma per noi era giusto così”. Ed ha aggiunto: “Il nostro è un mondo semplice, puro. Non abbiamo bisogno e non vogliamo grandi numeri, miracoli economici. Bastano poche determinate cose per arrivare ad ottenere dei risultati importanti “. Ed infatti dopo l’argento di Salt Lake City ecco due nuove prestigiose medaglie conquistate da Fabio Carta nel corso dei mondiali disputati a Montreal ad inizio aprile.