Lame arancioni, ma anche un po’ azzurre
In Olanda il pattinaggio è uno degli sport più amati, capace di scatenare una vera e propria “mania collettiva”. Un po’ come avviene da noi per il calcio, tanto per intenderci. E non c’è da sorprendersi. In questo Paese, infatti, le piste all’interno dei palazzetti del ghiaccio sono sempre frequentatissime, anche se il massimo della gioia, per un olandese, è poter pattinare all’aperto, sul ghiaccio naturale. Che si tratti di quello di canali, laghi, o di semplici corsi d’acqua ghiacciati. A patto, ovviamente, che sulla loro superficie si sia formato uno strato di ghiaccio sufficientemente spesso da sostenere il peso dei pattinatori (perché ciò accada, la temperatura deve mantenersi costantemente almeno a -4°C per quattro/cinque notti consecutive). Così, quando le temperature iniziano a scendere, questo popolo entra in fibrillazione: si cominciano a seguire spasmodicamente le previsioni del tempo, si affilano i pattini, e poi, appena possibile, adulti e bambini iniziano a pattinare.
In questi giorni, in coincidenza con le gare di pattinaggio di velocità delle Olimpiadi di Sochi, tutta la nazione si sta fermando per seguire con trepidazione le gesta dei propri connazionali. Atleti magari poco conosciuti in altre parti del mondo, ma che in patria sono delle vere e proprie star. E, almeno sino ad ora, gli olandesi stanno facendo man bassa di medaglie. Pensate che nelle sei gare sin qui disputate, gli “orange” ne hanno vinte ben quattro, conquistando anche tre argenti e cinque bronzi per un totale di dodici medaglie sulle diciotto complessivamente assegnate. Hanno vinto un po’ tutti: dal “mitico” Sven Kramer nei 5000 metri, applaudito in tribuna dal re Willem-Alexander e dalla regina Maxima, a Ireen Wust, medaglia d’oro nei 3000 metri che, al termine della competizione, è stata abbracciata dal presidente russo Vladimir Putin. Un gesto molto simbolico, considerata la dichiarata omosessualità dell’atleta olandese, che è sembrato voler zittire definitivamente le tante polemiche legate alla legge che vieta la propaganda gay in territorio russo.
In seguito, sono arrivate anche le vittorie di Michel Mulder nei 500 metri (salito sul podio insieme al fratello Roland, medaglia di bronzo), e quella di Stefan Groothuis, che si è aggiudicato la prova dei 1000 metri. Una vittoria, quest’ultima, dal sapore un po’ speciale per chi conosce la storia di questo ragazzo, probabilmente uno dei meno “popolari” della fortissima delegazione olandese. Stefan, compiuti da poco trentadue anni, ha ormai alle spalle una lunga esperienza nel pattinaggio, anche se condita da poche vittorie di prestigio. Nel 2007, proprio quando sembrava avviato verso la piena maturità agonistica, un terribile infortunio (recisione del tendine d’Achille sinistro) lo tenne lontano dalle competizioni per lungo tempo. Ai Giochi di Vancouver del 2010, Groothuis vide sfuggire per un soffio la medaglia olimpica tanto sognata (fu quarto sempre nei 1000 metri), e successivamente cadde in una depressione tale da portarlo a pensare anche al suicidio. Proprio ad un passo dal baratro, Stefan riscoprì la passione per il pattinaggio, riprese a fare dello sport, e nonostante un’altra lunga serie di problemi fisici (una brutta infezione virale a fine 2012, e una frattura del perone lo scorso anno), alla fine mercoledì sera lo abbiamo visto finalmente gioire sul gradino più alto del podio olimpico.
Ma il pattinaggio su ghiaccio a questi Giochi è presente anche con un’altra disciplina, lo “short track” (letteralmente, “pista corta”). Avete mai assistito a una gara di quest’appassionante sport? Un certo numero di pattinatori, solitamente da quattro a sei, pattina contemporaneamente intorno a una pista lunga poco più di 110 metri. Contatti, spinte, cadute, squalifiche, sono all’ordine del giorno, rendendo le gare davvero incerte fino all’ultimo metro e fino alle decisioni dei giudici. Come accaduto nella finale dei 500 metri femminili, disputati giovedì, nel corso della quale è successo davvero un po’ di tutto. Sul traguardo l’ha spuntata la cinese Li Jianrou, che ha approfittato di una caduta che ha coinvolto le altre tre finaliste: la britannica Christie, alla fine giustamente squalificata, la sudcoreana Park (poi medaglia di bronzo), e la nostra bravissima Arianna Fontana (argento).
L’atleta azzurra, se non fosse stata coinvolta nella caduta, sembrava avere nelle gambe la possibilità di ambire addirittura al titolo olimpico, ma alla fine era comunque soddisfatta di aver portato a casa la terza medaglia a cinque cerchi della sua splendida carriera (era già stata seconda in staffetta a Torino 2006, e poi terza a Vancouver 2010 sempre nei 500 metri). E la sua Olimpiade non è ancora finita, visto che la rivedremo in gara già sabato prossimo nei 1500 metri, poi martedì 18 febbraio nella finale della staffetta (le azzurre se la vedranno contro Sud Corea, Cina e Canada), e anche nelle qualificazioni dei 1000 metri individuali (finale in programma venerdì 21 febbraio). Se il buongiorno si vede dal mattino, in questa edizione olimpica la ventitreenne valtellinese potrà regalarsi e regalarci ancora delle grandi soddisfazioni.