L’Amazzonia vera e quella fake
Il presidente Bolsonaro vorrebbe che i dati satellitari reali, che dimostrano il grave stato di disboscamento e sfruttamento della regione più “verde” del mondo, non corrispondano alla realtà. Perciò cerca di mettere la museruola agli organismi che li diffondono. Ma alcuni agiscono fuori dal suo Paese…
Una delle conclusioni alle quali sono giunti alcuni leader politici è che se la realtà contraddice la storia che si pretende imporre, sia possibile cambiare la realtà adattandone i dati che questa ci offre.
Il criterio, in tempi di post-verità e di notizie false, di fake, sembra valido ed anche il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, lo pratica, con gran disinvoltura. Lo ha dimostrato l’episodio dei dati satellitari che documentano una accelerata riduzione della selva dezll’Amazzonia. Durante la sua gestione, il polmone del mondo ha perso quasi 6 mila chilometri quadrati di selva, (un territorio superiore alla nostra Liguria), il che significa un 40% in più rispetto allo scorso anno.
Ma per Bolsonaro ed il suo gabinetto il problema non è che ciò sia accaduto, piuttosto che l’istituto nazionale di ricerche spaziali (Inpe, nella sua sigla in portoghese) abbia diffuso in modo trasparente tali informazioni. L’Accademia brasiliana delle scienze e l’Accademia brasiliana per il progresso della scienza hanno difeso apertamente il lavoro dell’Inpe, la cui trasparenza consente agli utenti dei suoi dati di valutare lo stato della regione amazzonica. Un bene che non può più essere considerato solo nazionale, proprio per
la sua influenza sul clima del pianeta.
Bolsonaro ed il suo staff non hanno satelliti che dicano che le cose stiano diversamente. Ma lo stesso “credono” che i dati non siano corretti e che, in ogni caso, “i panni sporchi si lavano in famiglia”, come ha suggerito uno dei suoi ministri, un ex militare. Bisogna allora supporre che la verticalità tipica delle istituzioni militari rifletterebbe meglio il “patriottismo” che si pretende imporre all’Inpe, mantenendo segreta quell’informazione che oggi sarebbe necessaria per farsi una idea di ciò che avviene e del perché. Dopo alcune botta e risposta tra il direttore del centro scientifico ed il presidente, lo scienziato è stato destituito mettendo al suo posto un militare. Nel frattempo allo studio dell’Inpe si è aggiunta la diffusione delle immagini di Planet Labs, una compagnia statunitense che mantiene in orbita 100 satelliti e ogni giorno raccoglie foto del pianeta. Le immagini documentano l’espansione delle miniere illegali nelle terre indigene dell’Amazzonia, alla ricerca di oro, inquinando e disboscando senza nessun criterio in quanto a cura dell’ambiente. Pur in assenza di miniere legali, l’oro è oggi il secondo prodotto più esportato dallo stato di Roraima.
Le dichiarazioni del presidente a favore dello sfruttamento delle ricchezze dell’Amazonia e le critiche alle «eccessive» garanzie concesse agli indigeni, ha facilitato la tolleranza nei confronti dell’invasione di cercatori d’oro illegali. Solo nelle terre degli indios Yanimani, ne sono entrati circa 10 mila. Di recente Città Nuova web ha commentato la questione a partire dall’uccisione del capo indigeno Emyra Waiapi. D’altra parte, Bolsonaro ha più di una volta strizzato l’occhio all’agricoltura industrializzata attratta dai prezzi delle commodity e poco sensibile alla questione climatica, responsabile del disboscamento. Ed il presidente sta facendo il possibile per liberarla dai lacci legali. Andava in questa direzione il suo tentativo di portare sotto l’egida del ministero per l’Agricoltura la Fondazione nazionale dell’indigeno, responsabile di stabilire i limiti delle terre delle comunità originarie, respinto dalla Corte suprema che ha ribadito la competenza della Fondazione che difende i diritti degli indigeni.
Per addomesticare la realtà, sono tanti gli occhi da chiudere: quello che guarda alla costituzione dove si sancisce che l’attività nei territori indigeni deve essere regolata dalla legge; quello che guarda con ansia i cambiamenti climatici; quello che contempla il bene comune dell’ambiente; quello che si preoccupa per la democrazia in un Paese se di fronte a un messaggio scomodo, si dà la colpa al messaggero. Il problema è che la realtà pretende di aprirci gli occhi e non di chiuderli.