L’Amazzonia è ancora uno dei polmoni del mondo?

La rivista Nature ha appena pubblicato uno studio preoccupante, secondo il quale, almeno nella parte brasiliana della foresta amazzonica, viene emessa più CO2 di quanta ne viene assorbita.
(AP Photo/Andre Penner, File)

L’ultimo anno di pandemia ci lascia due indicazioni importanti in materia di relazione tra attività umane e cambiamento climatico. Durante la chiusura temporanea effettuata per le quarantene, ovunque nel mondo si è assistito agli effetti della drastica riduzione della contaminazione: cieli più tersi, piante più rigogliose, acque più limpide. Ma d’altra parte, ciò non ha impedito che l’anno passato e quello attuale siano tra i più caldi dell’ultimo ventennio. Basta vedere cosa sta succedendo nelle regioni polari e subpolari. A febbraio una base antartica argentina ha registrato la temperatura record di 18 gradi. Vuol dire che siamo andati così oltre le soglie del tollerabile dall’ambiente, che quand’anche riducessimo drasticamente le nostre emissioni contaminanti, lo stesso dovremmo sopportarne gli effetti, ma almeno non in modo irreversibile. La domanda da porsi è se abbiamo già valicato la soglia dell’irreversibilità o quanto vicino possiamo esserci.

(AP Photo/Andre Penner)

In queste giornate di afa, mentre in Canada le temperature sfioravano i 50 gradi a latitudini simili a quella di Parigi o Londra, una notizia preoccupante proveniva da uno dei polmoni del mondo: l’Amazzonia. In alcune regioni di questa foresta, il disboscamento è arrivato al punto che viene emesso più CO2 di quanto ne venga assorbito. Il fenomeno non deve essere considerato in generale, in quanto si tratta di alcune regioni. Ma non per questo la notizia è meno preoccupante, visto che in Brasile la deforestazione non solo avanza, ma viene resa occulta dalla politica irresponsabile del governo del presidente Jair Bolsonaro, ormai sfacciatamente a favore di attività minerarie, legali o no, e agroindustriali. Tutti ciecamente desiderosi di liberarsi della selva intricata in nome del denaro o di un discutibile progresso.

Luciana Gatti, ricercatrice dell’Istituto nazionale per la ricerca spaziale, un ente pubblico brasiliano, ha rilevato in uno studio pubblicato dalla rivista Nature (nature.com del 14 luglio 2021) che il settore orientale dell’Amazzonia, che ha perso un 30% delle sue piante, emette dieci volte più CO2 del settore occidentale, a sua volta deforestato per l’11%. Per l’esperta brasiliana si tratta di un «impatto immenso». Infatti, i rilevamenti realizzati hanno indicato che, tra il 2010 ed il 2018, alcuni settori della foresta sono stati una «fonte di carbonio», cioè hanno emesso più CO2 di quanto ne hanno assorbito. Lo hanno indicato 600 campioni di aria prelevata in tali zone nel periodo considerato. All’inizio di quest’anno la stima indicava che la foresta ha emesso 20% di CO2 in più di quella assorbita tra il 2010 ed il 2019.

(AP Photo/Leo Correa, File)

Dove avanza la deforestazione l’impatto a livello regionale è chiaro: nelle regioni dell’Amazzonia sudorientale, le temperature sono di 3,07 gradi più elevate. Più o meno lo stesso incremento di temperatura che si registra nell’Artico. Per Gatti, non solo è una notizia sconvolgente, ma anche «una completa sorpresa per la zona equatoriale del pianeta». Per Jean Pierre Wigneron, dell’Istituto nazionale francese per la ricerca agronomica, questo saldo negativo della CO2 non è una sorpresa, visto che «aumenta la deforestazione e il degrado, mentre la capacità di assorbimento di boschi e foreste intatti resta stabile o aumenta di poco».

I boschi e le foreste del pianeta sono la chiave per l’assorbimento di gas da effetto serra. Più o meno metà della CO2 emessa viene assorbito dagli oceani, mentre boschi e foreste assorbirebbero il 25%. Bisogna però stare attenti: non è un processo che può incrementarsi all’infinito: il rischio è che tale assorbimento innalzerà l’acidità delle acque con effetti deleteri, come già si può notare nelle barriere coralline in varie zone del mondo. Gli esperti avevano tracciato tempo fa una linea rossa da non valicare: quella delle 400 parti per milione di CO2 nell’atmosfera. Ma tale limite è stato già superato ed in modo stabile.

Cosa ciò possa provocare lo abbiamo appena visto in Germania, Belgio ed Europa del nord. Con due aggravanti: che ciò è avvenuto in tempi di pandemia e mentre Russia, Stati Uniti e Cina ancora giocano alla “guerra fredda”.

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