Lamara vittoria di Terzigno
Stop alla discarica dopo le mobilitazioni, le minacce dell’UE e l’appello del Papa. Occorrono soluzioni attente all’ambiente e alle persone in un territorio ferito. Riflettendo sulla cronaca
Tutto rimandato, salvo nuove improrogabili emergenze. La nuova discarica di Terzigno, nella cava Vitiello, non si farà, mentre quella già aperta, nella cava Sari, sarà utilizzata soltanto per sversare i rifiuti dei comuni del vesuviano. Lo assicura Guido Bertolaso, che in queste ore continua a trattare con i sindaci per arrivare alla firma di un accordo condiviso. In pochi giorni, spiega, sarà messa in sicurezza la discarica Sari, che ammorba da mesi i residenti, e poi – e solo poi – verranno effettuate le rilevazioni per accertare la qualità dell’aria. Finalmente si tornerà a respirare, ma c’è un paradosso di fondo che non piace ai cittadini: le analisi andrebbero svolte subito, quando ancora ci si deve turare il naso per camminare per strada, e non quando i camion avranno finito di ricoprire con terreno e argilla i rifiuti.
Un primo risultato Indubbiamente, però, per gli abitanti di Terzigno, Boscoreale, Boscotrecase e dell’intero vesuviano, questa è una vittoria. Certo, per raggiungerla sono dovuti arrivare alle maniere forti, con blocchi stradali e manifestazioni di piazza, conquistandosi l’appoggio di una parte delle istituzioni. L’Unione europea ha minacciato di bloccare definitivamente i 145 milioni di euro destinati all’Italia in caso di apertura della seconda discarica nel Parco nazionale del Vesuvio, spiegando che il piano miracoloso messo a punto due anni fa dal governo per uscire dall’emergenza, in realtà non è sufficiente e va integrato. Il presidente della Repubblica ha invece chiesto responsabilità, mentre il papa, intervenendo a favore della popolazione e a sostegno dei vescovi, ha invocato soluzioni condivise. E finalmente, forse, gli appelli che da Terzigno e da tutta l’area vesuviana i cittadini stanno lanciando ormai da due anni, potrebbero essere ascoltati. Tuttavia, la sfiducia rimane. Si tratta di una soluzione provvisoria: in primavera, quando la discarica Sari sarà piena, il problema si ripresenterà, ma – per allora – si spera, forse sarà trovata una valida alternativa. Il problema è anche politico. I sindaci dei comuni che protestano sono tutti del centrodestra e stanno alzando la voce nei confronti di un governo che si dimostra poco “amico”. Inoltre, la prossima primavera, si voterà per la conquista della città di Napoli: troppe proteste, troppi colpi di mano, in questo momento, si rivelerebbero micidiali per ottenere un successo.
Gli infiltrati Il tam tam corre di bocca in bocca. I negozi devono essere chiusi. C’è chi lo fa perché crede nella protesta, chi per solidarietà e chi perché è stato minacciato. Qualche infiltrato, venuto da fuori città, si assicura, infatti, che la linea dura venga seguita. Chi non obbedisce ci rimette l’auto, le vetrine o le serrande.
L’allarme dei medici Aumento delle malformazioni, dell’infertilità, degli aborti al quinto mese. Nei comuni del vesuviano i dati parlano di un picco di malattie gravi, legate all’inquinamento. Lo denunciano i pediatri, che in camice bianco e stetoscopio, hanno deciso di partecipare alle proteste contro l’apertura di una seconda discarica nel Parco Vesuvio.
I costi per la gente Quanto costa il servizio di raccolta dei rifiuti urbani alle famiglie napoletane? Ecco un esempio reale. Prendiamo una coppia di anziani pensionati che vive nel vesuviano, poco lontano dalla discarica di Terzigno, in una bella casetta di 100 metri quadrati, con un giardino dove si allevano galline e nel quale si smaltiscono tutti i rifiuti organici. I due fanno regolarmente la differenziata, raccogliendo finanche l’olio esausto. Bene, anzi male, perché pagano più di 800 euro all’anno. Purtroppo, però, le istituzioni, locali e nazionali, non hanno mantenuto gli impegni presi e così, per la mancanza di centri di compostaggio e di termovalorizzatori (l’unico, quello di Acerra, checché se ne dica, non funziona a pieno regime) puntualmente, si ripropone lo stato di emergenza sulla quale lucra la criminalità organizzata.
I motivi della protesta «Quello che sta accadendo – spiega Ines Antonella Barone, ambientalista di Sant’Anastasia – è una pugnalata per tutta l’area vesuviana. Il simbolo di Napoli, il Vesuvio, che è anche area protetta, rischia di essere invaso da una megadiscarica, probabilmente la più grande di Europa. Come Parco Vesuvio e insieme ai comuni interessati e a Legambiente, abbiamo presentato una istanza alla Procura della Repubblica di Nola per denunciare le sostanze inquinanti che vengono sversate nella cava Sari, che non è a norma». Proprio la magistratura ha bloccato un camion contenente sostanze radioattive mentre si accingeva ad entrare nel sito. «In Campania – aggiunge Barone – non è più possibile risolvere la questione rifiuti con soluzioni tampone. L’inceneritore, e lo sanno tutti, funziona solo per il trenta per cento. Perché non si cercano soluzioni alternative, per trasformare i rifiuti in ricchezza per il territorio, con il trattamento e la trasformazione dei rifiuti?»
La testimonianza Il signor Domenico, 76 anni, è tra i manifestanti che, giorno e notte, presidiano l’area di accesso alla discarica Sari. Davanti alla sua abitazione è stato dato alle fiamme, qualche giorno fa, un camion dei rifiuti. Da allora non è più stato spostato e, oltre ad emanare un tanfo irrespirabile, comincia a perdere percolato. «Lo abbiamo detto alle istituzioni– spiega – ma non ci hanno ascoltato e in città ce ne sono altri 5 o 6, di camion abbandonati, che perdono liquidi puzzolenti e nocivi». L’abitazione del signor Domenico dista, in linea d’aria, un chilometro dalla discarica. «Fino a qualche anno fa, portavamo figli e nipoti nel parco per respirare aria pulita. Oggi, invece, siamo circondati dalla puzza, anche nelle nostre case. Ci sentiamo minacciati e non dormiamo più nemmeno la notte. Noi protestiamo e dicono che sotto c’è la camorra. Qualcuno “infiltrato” forse c’è, ma chi non rispetta la legge sono i politici, che non sanno lavorare e hanno preso impegni che non hanno mantenuto. A loro direi: lasciate Roma, venite qui, state un po’ con noi» e forse si unirebbero anche loro alla protesta. «Cosa si aspettano? Che ci lasciamo seppellire vivi dalla spazzatura? Noi protestiamo per i nostri figli, per i nipoti. In paese sono morti tanti giovani per i tumori. Se non ci rispettano – spiega questo magazziniere in pensione – continueremo a protestare, anche se dicono che la polizia ci caricherà. Tanto, hanno già investito un bambino, finendogli sul piede con la jeep, e hanno buttato per terra una donna anziana e nessuno ne ha parlato».