L’altro siamo noi

 

Oggi la questione dell’“altro” e del “diverso” è diventata dirimente. Troppo spesso è percepito come l’estraneo da cui difendersi, quando non come il nemico da combattere. Si esclude così il rapporto ogni volta personale con l’altro in quanto è un “tu” che è un “io”, con la sua identità e i suoi doni.

Mentre invece – ha spiegato papa Francesco ad Abu Dhabi, lo scorso anno –, l’imperativo: “Conosci te stesso” va oggi declinato con l’imperativo: “Conosci l’altro”. Occorre invertire la marcia. Anche questo ci dice la terribile prova della pandemia. Di qui il passo è breve per dire una parola su quell’altro che siamo noi. Si tratta della trasposizione su scala sociale di quanto sin qui detto.

Ogni essere comunità va sempre vissuto in relazione. Ogni “noi” deve coltivare la consapevolezza che è il “noi” altro di un altro “noi”: che se entra in relazione diretta con “noi” è un “voi” e se in relazione indiretta è un “loro”.

Si tratta di educare i singoli e le collettività a vincere la tentazione dell’autoreferenzialità e dell’assolutizzazione. La storia, anche recente, attesta quanto essa sia devastante. Perché il vero “noi” è tale se è aperto e si costituisce e matura per costruire, insieme a tutti, il “noi” universale dell’umanità. Bernard Lonergan chiama “cosmopoli” questa sfidante utopia concreta del nostro tempo.

Occorre dare respiro e concretezza politica all’arte dell’educare. Troppo poco si fa in questa direzione. E la fragilità della democrazia che stiamo sperimentando, e proprio nel momento in cui c’è più bisogno di un’assunzione corale di responsabilità di fronte alle enormi trasformazioni in atto, lo sta a dimostrare.

La filosofia dialogica lo ha illustrato (e la teologia lo conferma e lo approfondisce): il rapporto io-tu giunge a fioritura quando sboccia in un noi che non è chiuso in sé ma si rivolge verso il “terzo”: quell’“egli”/“ella” e quel “loro” che vanno ospitati dentro di noi come parte del nostro sé, pur restando sempre e irriducibilmente al di là.

Il rapporto io-tu, in definitiva, è autentico quando è lo spazio di un “noi” ospitale. Non roccaforte, ma casa comune della famiglia umana e del creato.

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