L’altro. Scomodo e indispensabile

L’idea di fondo che percorre il volume di Luigino Bruni La ferita dell’altro (Il Margine) può essere resa così: l’altro è limite al mio avere, ma necessario al mio essere. L’altro è, ad un tempo, sofferenza e benedizione; ma mentre la sofferenza ha a che vedere con la dimensione dell’avere, la benedizione tocca quella dell’essere. Meglio dunque soffrire che non aver amato. Che la persona sia costituita nella relazione e che ciò implichi il mutuo riconoscimento è un dato di osservazione che di per sé non costituisce problema. I problemi sorgono non appena si consideri che il rapporto tra due (o più) soggetti può essere di reciproca disponibilità, cioè di reciproco riconoscimento della singolarità personale, oppure di reciproca sfida (o minaccia). Con prosa accattivante e con abbondanza di riferimenti al testo biblico, il libro descrive quali conseguenze si vanno a produrre quando a prevalere è l’uno o l’altro modello di relazione interpersonale. Il volume è, ad un tempo, intrigante e rassicurante. Intrigante perché costringe lo scienziato sociale, e l’economista in primis, a rivedere buona parte delle sue consolidate certezze circa il modo di leggere la realtà sociale e di suggerire linee di azione. Rassicurante, perché l’autore, Luigino Bruni, riesce ad indicare una via pervia per giungere a sciogliere alcuni dei più preoccupanti paradossi delle nostre società odierne: il paradosso dell’opulenza (all’aumento della ricchezza complessiva si accompagna un aumento delle disuguaglianze); quello della felicità (l’aumento dei redditi medi si associa ad una diminuzione dell’indice della felicità); quello ecologicoambientale. L’originalità del contributo di Bruni è quella di trasferire la dualità sofferenza-benedizione nell’ambito propriamente economico. Lo scambio di equivalenti – quel che ti do o quel che faccio per te deve essere contraccambiato da un’azione o da un oggetto di valore equivalente -, che è il principio che sorregge il mercato di tipo capitalistico, è capace bensì di generare risultati importanti e po- sitivi, ma non è in grado di risolvere i paradossi di cui si diceva. Non è difficile darsene conto. La logica del contratto (privato o sociale che sia) è quella della negoziabilità degli interessi delle parti. Infatti, le parti di un contratto non solamente sono mosse all’azione dal desiderio di soddisfare un interesse, ma devono anche essere in grado di condurre il negoziato, cioè devono essere capaci di contrattare. Questa logica postula dunque la reciprocità simmetrica. Vi sono tuttavia forme di reciprocità – di cui sempre più si avverte oggi il bisogno – che non sopportano l’equivalenza, ma postulano la proporzionalità. Sono tante le situazioni di vita in cui si ricambia non l’equivalente di valore di ciò che si è ricevuto, ma in proporzione alle proprie possibilità e capacità. È questa la reciprocità asimmetrica che costituisce la cifra del principio di fraternità. Tra fratelli non si applica la contabilità del dare e dell’avere. Allora, mentre occorre riconoscere i meriti del modello mercantile dello scambio, è del pari necessario ammetterne il limite maggiore che è quello di non riconoscere cittadinanza al principio di fraternità. La sfida che il pensiero cattolico deve oggi raccogliere è quella di mostrare che categorie come quella di gratuità e di dono possono trovare spazio entro la sfera del mercato, dando vita ad opere – espressione di minoranze profetiche -, che vadano a contaminare la logica del profitto. Ebbene, questo libro documenta che il progetto di un’economia civile, di un’economia cioè fondata su un impianto ternario (scambio di equivalenti, redistribuzione, reciprocità asimmetrica), è oggi possibile. Ne sono palese testimonianza una pluralità di opere quali l’economia di comunione, il consumo critico, la finanza etica, l’azionariato critico, le varie forme di impresa sociale. E questo apre alla speranza, la quale non riguarda solamente il futuro, ma anche il presente, perché abbiamo necessità di sapere che le nostre opere hanno un senso e un valore anche qui e ora. Il libro di Bruni parla contro la malinconia, contro quella condizione dello spirito che nasce dallo scarto tra l’esperienza e l’attesa, e la cui conseguenza certa è quella di arrestare il progresso, sia morale sia economico, di una comunità. Che la categoria di bene comune – che costituisce lo sfondo del discorso di Bruni – conosca, oggi, una sorta di risveglio è cosa che ci viene confermata da una pluralità di segni, i quali dicono, in buona sostanza, di un rinnovato interesse nei confronti della prospettiva di studio dell’economia civile. Non c’è da meravigliarsi di ciò: quando si prende atto della crisi di civilizzazione che oggi incombe, si è sospinti ad abbandonare ogni atteggiamento privo di utopia e ad osare vie nuove di pensiero. Ogni sguardo prospettico ha le sue radici. Bisogna pur sempre partire da un luogo per esplorare quanto si offre allo sguardo. Nessuno abita in nessun luogo. Il carisma dell’unità del Movimento dei focolari e l’esperienza aurorale dell’economia di comunione sono, per Bruni, questo luogo.

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