L’altro Catone
Spesso il motivo per cui uno scrittore sceglie il tal personaggio è dovuto ad una segreta affinità con lui. Ma cosa lega Eugenio Corti a Marco Porzio Catone detto il censore o meglio Catone l’antico, titolo dell’ultima sua fatica letteraria pubblicata da Ares? E cosa ha spinto uno scrittore la cui opera attinge alle più genuine radici cristiane a fare di questo pagano – a preferenza dei suoi grandi contemporanei Annibale e Scipione l’Africano – il portavoce, quasi, di inquietudini moderne? Catone, questo villanzone che faceva molto bene la sua parte – risponde Corti – si prestava meglio per prospettare, in modo traslato, l’attuale situazione del nostro Occidente. Fra l’altro le fisse degli altri due lui non le aveva e sapeva affrontare i problemi con grande realismo … Certo qui i ricordi scolastici non ci soccorrono, avendoci di Catone tramandato per lo più l’immagine del caparbio moralizzatore che parla per sentenze, della Cassandra in toga. Del censore, appunto. Mentre, prima di diventare tale, era stato avvocato, questore in Sicilia, edile della plebe, console in Spagna (da cui ritornò in trionfo), tribuno della plebe, nonché storico e scrittore. L’autore del celebre Cavallo rosso poi non indulge alle mode letterarie del momento. E questo suo Catone non rientra nella categoria di certi prodotti che oggi invadono il campo editoriale e i cui eroi sono gladiatori, legionari, e via dicendo; romanzoni di evasione che trasportano il lettore nell’antichità classica, seguendo i canoni tipici dell’avventura. Qui invece – pur non mancando l’azione in quanto il personaggio è seguito anche nelle sue campagne militari, dove si rivelò accorto stratega – l’accento è posto soprattutto sulla umanità e il pensiero di Catone, figura che Corti scolpisce a tutto tondo con la maestria narrativa a lui consueta. Facendoci partecipare al dramma di un uomo che è poi anche quello di un’epoca – a cavallo tra il III e II secolo a.C. – segnata da trasformazioni cruciali. Nel momento in cui la Roma repubblicana sta per smarrire quell’austera moralità che l’ha resa grande per aderire alle espressioni più decadenti dell’ellenismo, questo contadino della Sabina preoccupato soprattutto per le giovani generazioni dedica ogni sua energia per salvare le patrie istituzioni. E lo fa da competente, dopo aver studiato a fondo quella cultura greca di cui lui stesso avverte il fascino. Catone, in apparenza un perdente (la paventata corruzione della società romana si avvererà infatti con l’Impero, certo non soltanto per colpa dell’ellenismo), eppure una di quelle figure a cui ogni epoca può guardare con ammirato rispetto, come a luminosi punti di riferimento. È evidente il richiamo alle problematiche dell’epoca presente. Anche oggi, infatti, il sovrapporsi e la vicendevole influenza tra culture esigono l’impegno e il sacrificio dei più avvertiti e sensibili perché non si perdano valori fondamentali per il futuro della nostra civiltà. Ma a differenza del pagano Catone, che poteva contare solo su risorse umane, Corti conserva la fiducia del credente, nella consapevolezza che, malgrado tutto, a guidare la storia lungo sentieri imprevedibili c’è una provvidenza. E che non si genera nessun mondo nuovo senza partecipare alla sofferenza di Cristo. 200 scene e 36 episodi fitti di personaggi indimenticabili in un romanzo per immagini, quasi sceneggiatura di un film, che conta oltre 400 pagine. Eppure si legge con agevolezza, perché quella in cui Corti ci immette è una romanità non da banchi di scuola, rappresentata nel vivo di questioni fondamentali, che continuano a interpellarci. Non inganni poi la linearità della storia. A monte c’è stato un lavorio enorme sulle fonti. E che di questa mole di erudizione non si avverta la pesantezza, che tutto sia sciolto nel ritmo narrativo – sempre avvincente – è solo merito dell’umile grandezza dello scrittore.